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Se il futuro del libro è ancora di carta, la sfida è la pirateria

Se il futuro del libro è ancora di carta, la sfida è la pirateria

Express Per quanto passiamo gran parte del nostro tempo con il naso incollato a uno schermo, il piacere di sfogliare un volume, pagina dopo pagina, si è mantenuto vivo ovunque nel mondo. Il vero problema è però quanti ricorrono a testi piratati, come rivela l’indagine Ipsos commissionata dall’Associazione Italiana Editori

Pubblicato 8 mesi faEdizione del 14 marzo 2024

Magari ci fosse una sfera di cristallo per capire che faccia avrà il mondo del libro fra venti o trent’anni! Non che i segnali per azzardare previsioni manchino – anzi, ce ne sono fin troppi, ma sono così diversi, e spesso così contraddittori, che è difficile trarne conclusioni, sia pure timide. Pensiamo per esempio alla lettura su carta, data per spacciata all’inizio del millennio. Per quanto passiamo gran parte del nostro tempo con il naso incollato a uno schermo, il piacere di sfogliare un volume, pagina dopo pagina, si è evidentemente mantenuto vivo ovunque nel mondo, e lo dimostrano per esempio i dati del 2023 provenienti dalla vicina Francia, dove – scrive Léonce-Michel Deprez su PrintIndustry News – «il 90% dei ricavi degli editori proviene dall’editoria cartacea, con un fatturato di 3 miliardi di euro e una produzione di 110mila titoli, di cui 40mila nuovi».

Sarà sempre così oppure le difficoltà di approvvigionamento o la crisi climatica ci imporranno di dire addio alla carta? Non lo sappiamo, come d’altra parte non sappiamo se potremo contare a lungo sui supporti elettronici, che (guai a dimenticarlo) comportano un consumo energetico ingentissimo – un consumo, oltretutto, destinato a crescere in modo esponenziale per la presenza sempre più pervasiva dell’intelligenza artificiale, il cui «appetito famelico di energia» è stato messo in luce perfino dall’Economist, organo di informazione certo non incline a sostenere un futuro di «decrescita felice».

Insomma, meglio non puntare gli occhi troppo in là e prestare invece attenzione al panorama che ci circonda e che, tutto sommato, non appare troppo sconfortante. Positivi, in particolare, sono i resoconti dalla London Book Fair che – anticipata alla prima metà di marzo per non essere troppo vicina alla Fiera internazionale del libro per ragazzi di Bologna, in programma dall’8 all’11 aprile – si è chiusa ieri dopo tre giorni di «energia frenetica e tumultuosa», secondo la definizione di Porter Anderson su Publishing Perspectives. Ci ritorneremo la prossima settimana, intanto è interessante notare come Dan Conway, presidente dell’associazione degli editori britannici, abbia scelto il palcoscenico della Book Fair per lanciare un appello «ai politici di tutti gli schieramenti perché riconoscano il valore economico dell’industria editoriale».

Decisamente, tutto il mondo è paese. E questo vale anche per un problema che, a quanto pare, rovina le notti di chi lavora nelle case editrici di tutto il mondo: la pirateria. Ne ha scritto di recente Bill Kasdorf su Publishers Weekly, segnalando che «per il settore si tratta di una questione seria e tutt’altro che banale», per contrastare la quale è stata creata una task force che ha messo a punto un sistema (l’Iccc, International Standard Content Code) per individuare e bloccare i testi contraffatti.

Funzionerà? Di nuovo, è meglio non scommettere, ma che anche in Italia il problema sia sentito, lo conferma l’indagine Ipsos commissionata dall’Associazione Italiana Editori, i cui risultati sono stati presentati la settimana scorsa. Drammatico il titolo, «La pirateria nel mondo del libro vale 705 milioni, con un danno per il Sistema paese di 1,75 miliardi di euro», e forse ancora di più il sottotitolo: «In fumo 12mila posti di lavoro». Ma quanti sono i pirati? Tanti, tantissimi, se è vero che «poco meno di un italiano su tre (il 31% della popolazione sopra i 15 anni), ha compiuto almeno un atto di pirateria editoriale nell’ultimo anno». Quanto all’identikit, si tratta perlopiù di studenti universitari (più di tre quarti, il 78%, hanno scaricato illegalmente o fotocopiato testi sotto diritti) e di professionisti. Pirati sì, ma (si presume) di buona cultura.

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