Se il citazionismo è superficialità e banalizzazione
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Se il citazionismo è superficialità e banalizzazione

Il caso «La scelta di Sophie»: questo titolo a tutta pagina campeggia in apertura di «Robinson», il supplemento libri di Repubblica, del 6 ottobre 2024. È una citazione, che allude esplicitamente a un importante romanzo intitolato "La scelta di Sophie"
Pubblicato circa un mese faEdizione del 9 ottobre 2024

«La scelta di Sophie»: questo titolo a tutta pagina campeggia in apertura di «Robinson», il supplemento libri di Repubblica, del 6 ottobre 2024. È una citazione, che allude esplicitamente a un importante romanzo intitolato La scelta di Sophie (Sophie’s Choice, di William Styron, 1976) e alla sua versione cinematografica del 1982, con Meryl Streep.

Di che scelta si tratta? Nel caso di «Robinson», lo spiega il catenaccio sotto il titolo: «Kinsella, la regina mondiale dei bestseller, ci apre in esclusiva le porte di casa a Londra. E, per la prima volta, parla della malattia e del nuovo romanzo, il più vero».

E nel romanzo di Styron? Deportata ad Auschwitz, Sophie è costretta dai suoi aguzzini a scegliere quale dei suoi due figli risparmiare e quale lasciar uccidere.

Sophie’s Choice non è privo di problemi, ma non mi sembra la stessa cosa. Io sospetto che se a presentare un’intervista con l’autrice di I Love Shopping evocando una storia sulla Shoah fosse stato qualche giornale di sinistra, Repubblica non avrebbe esitato a includerlo fra i segnali di quella montante onda di antisemitismo su cui ci allerta con meritoria assiduità.

Nel caso di «Robinson», non arriverei a tanto: si tratta di qualcosa di più sottile e altrettanto pericoloso, la banalizzazione della Shoah, un modo di ridurre un’ immensa tragedia a una strizzata d’occhio fra noi gente istruita.

Se fosse ignoranza, sarebbe già molto grave, e comunque su queste cose anche l’ignoranza è colpa. Ma mi pare molto improbabile che il supplemento libri di un giornale colto non sappia di che parlano il molto discusso libro di Styron e il film che ne è stato tratto.

Più che ignoranza, allora, si tratta di superficialità, indifferenza: un sintomo del citazionismo superficiale che rende tutto intercambiabile con tutto, che orecchia i titoli e dimentica le storie, che infetta tanto giornalismo più o meno culturale contemporaneo.

Ma proprio perché a nominare la Shoah invano è il giornale più militantemente filoisraeliano e più allarmato sui rischi dell’antisemitismo nel mondo, questa banalizzazione della Shoah richiede qualche considerazione ulteriore.

Quando il giochino delle citazioni riduce la più grande tragedia della modernità occidentale a un pettegolezzo, accostando le porte dell’inferno alle porte di casa Kinsella, getta anche un’ombra sulla superficialità e strumentalità di tanta della retorica che assimila all’antisemitismo ogni perplessità sulle scelte politiche e militari dello stato di Israele e degli Stati Uniti suoi alleati.

Infatti somiglia molto all’eccitato filoamericanismo di giornalisti che della storia degli Stati Uniti parlano a orecchio e tutto sommato se ne fregano.

Io mi guarderei da quegli amici che si entusiasmano per i walkie talkie che scoppiano e poi fanno (ignari?) giochi di parole sui campi di sterminio.

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