Se il borgo di Pereto diventa «Supernaturale»
Mostre diffuse a A cura di Paola Capata e Annalisa Inzana, in diverse sedi e per le strade del paese abruzzese gli artisti si confrontano con il selvatico
Mostre diffuse a A cura di Paola Capata e Annalisa Inzana, in diverse sedi e per le strade del paese abruzzese gli artisti si confrontano con il selvatico
Lungo le piccole e ripide strade del borgo di Pereto (Aq) anche quest’anno si va, come in una caccia al tesoro, alla ricerca di tracce d’arte disseminate lungo le vie, talvolta nella cucina di un piccolo edificio, nelle sale di un palazzo che fu nobiliare oppure ancora sul balcone di una abitazione dove un tempo viveva l’acquerellista locale. Ci troviamo dentro all’ottava edizione di Straperetana, mostra diffusa che, dal 2017, porta l’arte contemporanea a Pereto, piccolo paese che sembra sciogliersi – quasi sommerso dal bosco – lungo le pendici del Monte Fontecellese, nel cuore dell’Abruzzo marsicano.
L’EDIZIONE di quest’anno, intitolata Supernaturale (a cura di Paola Capata e Annalisa Inzana, Palazzo Maccafani, Palazzo Iannucci e le strade del borgo di Pereto fino al 18 agosto, tutti i sabati e le domeniche dalle 16 alle 20), è dedicata al rapporto degli artisti con la natura intesa come ambiente, corpo, paesaggio. Fra gli artisti di quest’anno è Giovanni Kronenberg (1974) che nella cucina di Palazzo Iannucci ha appeso alcune foglie accartocciate bagnate nell’oro e due delle sue Escoriazioni antropologiche (2012, spugna di mare e fragranza marina); sul tavolo un grande corno d’alce con una delle punte rivestita d’argento (L’antinomia di Capitan Blicero, 2016) sembra far parte delle mirabilia nella collezione medicea al Museo degli Argenti di palazzo Pitti in cui uova di struzzo, noci di cocco e perle scaramazze sono incastonati in metalli preziosi.
Nella stanza accanto Davide D’Elia immobilizza il tempo: carte da parati provenienti da luoghi diversi sono rivestite dalla sua iconica pittura antivegetativa che in qualche modo ne blocca i segni del tempo e l’ingiallimento. Al pianterreno una vecchia scritta sul muro – Camera di sicurezza per uomini – parla delle memorie del luogo (per un periodo c’è stata la sede dei carabinieri locali). Qui Gaia Liberatore (2000) prosegue la ricerca su micro e macro: dopo Micros (del 2023, composto da 120 dipinti ad acquarello su vetrini da microscopio) cosparge il pavimento della cella di lastrine su cui sono variazioni infinite di assemblaggi microscopici in argilla cruda, deperibili e mutevoli. «Mi interessa riflettere su come percepiamo ciò che ci circonda. Le cose piccole non sono meno importanti di quelle grandi o spettacolari», dice.
NON HA TOLTO NULLA dal polveroso ripostiglio al piano terra di Palazzo Iannucci Giorgio Cesarini (2000). Si entra e dal soffitto, da fili elettrici cadenti e abbandonati, pendono piccole teste color latte. Sono teste delle Unit Eva (01 e 02), Mecha (robot) organici presi da Neon Gnesis Evangelion, anime giapponese degli anni novanta. Sono anche però «gioiellini dell’infanzia» come pare si possano chiamare i piccoli oggetti realizzati con latte materno. Ed ecco i Mecha-Serena ciondolo. Perché anche questo si può avere sul web: piccoli gioielli fatti di latte materno o col moncone del cordone ombelicale o con il primo dentino da latte, sorta di reliquie del contemporaneo.
La risalita del paese trova perfetta conclusione nelle installazioni di Palazzo Maccafani: la civetta bronzea di Nico Vascellari dialoga con Salvo mentre sulle pareti di fondo danzano grottesche ottocentesche, Hamish Fulton lascia testimonianza delle sue camminate solitarie – la promenaderie– e scendendo verso il buio, nelle profondità di una grotta interrata, ci attende il fulmine immobile di Patrick Tuttofuoco.
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