Raccontare l’impatto che l’essere umano lascia sull’ambiente e lo scempio del paesaggio in cui la natura trova nuove forme di sopravvivenza e convivenza, come gli oggetti abbandonati che diventano terreno fertile per alcuni organismi viventi. Nuove forme naturali, ibridi artificiali, che «fioriscono» su vecchie scarpe o dentro bottiglie di plastica, sviluppando funghi o muschi che l’artista polacca Diana Lelonek raccoglie, cataloga ed espone in Center for Living Things.
Lelonek ha realizzato anche il progetto di eco-attivismo partecipativo, Seaberry Slagheap, insieme alla comunità della regione mineraria di Konin. Uno stand-installazione in cui, attraverso video e fotografie, mostra le conseguenze ambientali e sociali dell’estrazione. Un paesaggio devastato dalle scorie in cui è nato miracolosamente l’olivello spinoso, bacca dalle molte proprietà, diventato simbolo di rinascita. Diana Lelonek, classe 1988, insieme a Ragna Ròbertsdòttir, Anais Tondeur, Mònica De Miranda e Christina Kubisch, è ospite della XIX edizione della Biennale Donna Out of Time. Ripartire dalla Natura, a cura di Silvia Cirelli e Catalina Golban, in mostra al Padiglione d’arte contemporanea di Ferrara fino al 29 maggio.

Qual è stato il processo del progetto «Seaberry Slagheap»?
Ho iniziato nel 2018 quando ho partecipato al primo campo per il clima organizzato nel bacino carbonifero di Konin. Lì ho visto per la prima volta le conseguenze catastrofiche che l’estrazione a cielo aperto della lignite ha sull’ambiente e sulla comunità locale: lo spostamento e la distruzione di villaggi, l’appassimento delle falde, la scomparsa di laghi naturali. Le aree minerarie erano ricoperte di bacche, una specie protetta atipica in Polonia, che crescono sulle dune costiere e il cui succo è ricco di vitamina C. Questi arbusti sono utilizzati nel processo di bonifica del suolo. A Konin, dagli anni ’70, l’olivello spinoso ha attecchito in ambiente secco e arido, così le ex aree minerarie si sono ricoperte di frutti. È una pianta post-apocalittica che conserva la memoria della storia industriale della regione. Nel 2018, insieme alla comunità locale, ho iniziato a raccogliere le bacche nell’area di Seaberry Slagheap, intorno all’ex miniera di carbone chiusa negli anni ‘90. Ho immaginato l’olivello come simbolo della regione al posto del carbone. I succhi si presentano come prodotti biologici, con la differenza che le etichette ricordano gli effetti catastrofici delle estrazioni.

[object Object]

La sua è una forma di attivismo ambientale-artistico. Nel disastro ecologico trova un segnale di speranza: la Natura che resiste e si adatta anche allo scempio. Ci spiega meglio?
Molti dei miei progetti uniscono critica e speranza. Il mio interesse è rivolto alla natura nell’era dell’antropocene. Sono nata e cresciuta a Dabrowa Górnicza, una città industriale all’interno del più grande bacino carbonifero della Polonia, mi interessa la natura che ritorna in aree demolite dall’industria e dallo sfruttamento, la natura dei resti, le terre desolate e le aree contaminate. Mi affascinano le specie vegetali ruderali che svolgono il precario lavoro di ripristino di ecosistemi di tali aree e preparano il terreno al riemergere di altre specie più esigenti. Pensiamo alle terre desolate come aree in cui non accade nulla, ma è esattamente l’opposto.
In assenza di interferenza umana, compaiono immediatamente piante, funghi, batteri e altri attivisti non umani per il ripristino degli ecosistemi naturali. Ci sono fenomeni che lavorano per ripristinare le aree temporaneamente o permanentemente abbandonate dall’uomo per natura. Il mio approccio ricorda l’ecologia oscura, cerco la speranza nel buio.

[object Object]

Nel Center for Living Things raccoglie e archivia i resti delle nostre vite consumistiche. Gli oggetti abitati dalla natura assumono forme nuove, ibride. Come procede?
Ci lavoro dal 2016. Ho camminato tra le discariche, ho esaminato come i rifiuti iniziano a funzionare nell’ecosistema e come le superfici degli oggetti scartati si trasformano in mini-habitat per vari organismi viventi. Oltre a esaminare le interdipendenze tra specie umana e non, era importante stabilire una relazione con un istituto di ricerca esistente, l’Orto botanico dell’Università di Poznan. L’istituzione fittizia da me fondata, l’Istituto per gli esseri viventi, è entrato in relazione con l’Orto botanico, questo ha permesso al mio Centro di apparire, per un certo periodo, come una vera istituzione. Ho tentato di introdurre nell’Orto botanico nuove specie di piante esauste. Ho lavorato anche su una nuova forma di classificazione degli ambienti della vegetazione da rifiuti basata sul linguaggio. Ho raccolto singoli oggetti da grandi discariche e li ho spostati nell’Orto botanico. Lì hanno continuato a crescere e sono state assegnate etichette e descrizioni, come alle altre piante. Tossiche, contaminate e selvagge, le piante dei rifiuti sono state inserite nell’ordine esistente per espanderlo in ambienti distrutti dall’industria e dall’attività umana. Volevo esaminare come le piante trattano oggetti considerati rifiuti e come questi oggetti, non più utili all’uomo, iniziano a funzionare nell’ecosistema. Smettono di essere strumenti e cominciano a condurre una nuova vita selvaggia.

Come sono le politiche ambientali in Polonia?
Ministero dell’ambiente ricoperto di foreste miste dell’Europa centrale è un lavoro creato in risposta alla decisione del Ministero di espandere il disboscamento della foresta di Białowieza, la più antica d’Europa. Mostro l’edificio del ministero abbandonato, ricoperto di foreste, con cervi e uccelli al posto dei funzionari, una visione post-apocalittica degli effetti a lungo termine di tali politiche, che danneggiano gli esseri umani e minacciano la sopravvivenza della nostra specie. In questo momento, anche nella foresta di Białowieza, lo Stato polacco sta costruendo un muro al confine con la Bielorussia. Non si preoccupano degli effetti catastrofici che avrà su piante, animali e sull’intero ecosistema unico della foresta.
Le conseguenze del governo sono già disastrose per gli esseri umani: i rifugiati che cercano di attraversare il confine con l’Unione Europea. Da luglio 2021, prima dell’inizio della guerra in Ucraina, i profughi, per lo più da Afghanistan e Iraq, sono stati respinti attraverso il confine. Si nascondono nei boschi per settimane in condizioni terribili. Paradossalmente, tutti i rifugiati ricevono aiuto al confine ucraino, ma al confine bielorusso viene loro negato e ad attivisti e Ong viene negato l’accesso.

[object Object]

La natura che reclama i suoi spazi è una questione emersa durante la pandemia che forse abbiamo già archiviato. Cosa ne pensa?
È stato interessante vedere con quanta rapidità animali che non erano mai stati visti prima iniziarono ad apparire nelle città. È bastato che le persone si chiudessero nelle loro case per alcune settimane. Questo ci ricorda che le città non sono mai state, non sono e non apparterranno mai esclusivamente agli umani: sono e sono sempre state selvagge, semplicemente non volevamo accorgercene. Ogni oggetto che produciamo è utilizzato non solo da noi, ma anche da decine di migliaia di residenti non umani. Cercano ogni fessura adatta per nidificare o la giusta umidità per sviluppare il loro micelio o tallo. La pandemia ha chiarito quanto sia miope l’antropocentrismo.

A cosa sta lavorando ora?
Sto preparando diverse mostre e continuo il lavoro sulla creazione di un archivio parlato degli abitanti dei villaggi sfollati e distrutti dalle miniere, Archivi del paesaggio sepolto. Tuttavia, in questo momento è molto difficile concentrarsi sui progetti, preferisco dedicare la mia energia per aiutare i rifugiati dall’Ucraina. Faccio volontariato in un ostello allestito in un teatro di Varsavia. Nel 2020 ho realizzato Forms of Survival, un video sulla completa chiusura delle istituzioni artistiche durante la pandemia e mi sono chiesta quale futuro le attenda. Nella mia visione lo spazio del museo si è trasformato in appartamenti per profughi, ora in Polonia questo sta realmente accadendo. A Varsavia, teatri e gallerie d’arte, compresa la Biennale, sono stati trasformati in rifugi temporanei.