L’etimo di meraviglia abbraccia la visione, lo stupore e insieme il sorriso (c’è addirittura chi sostiene che dalla lontana origine sanscrita del termine, «smirari», provenga anche l’inglese «smile»). Così, tra gli interventi transdisciplinari di un festival che la celebra, non può mancare un affondo storico-filosofico sull’«età d’oro della meraviglia». Non si tratta solo di storia dell’arte, bensì anche di scienza, letteratura, filosofia, magia: ambiti che nel collezionismo fiorito in epoca tardorinascimentale e barocca hanno raggiunto un equilibrio unico e irripetibile. Qui la meraviglia passa attraverso gli oggetti, esattamente come la collezione è un sapere che passa attraverso oggetti. Oggetti che vanno osservati da vicino, lentamente, per poi da lì iniziare un viaggio complesso, quello del collegamento di significati.

STUDIOSI E INTENDITORI s’impegnano da più di un secolo a rintracciare una grammatica, una serie di leggi nascoste negli oggetti e nelle collezioni di meraviglie, che diventano così capaci di fornire grandi chiarimenti proprio sul presente, liberandoci da una specie di astoricità, dall’illusione di essere completamente al di fuori di quello che è accaduto prima. Perché la meraviglia è una categoria metastorica che si definisce fino a tutto il Settecento, didatticamente prima di tutto, come una forma di conoscenza. Per poi ritornare, nel Novecento, a occupare la scena dell’arte e della scienza. Lo avrete capito: parliamo di «Wunderkammern» e chiamiamo in causa uno dei termini oggi più utilizzati in diversi contesti, come quello della moda, del design, dell’arte contemporanea (ma poi, a quanti di voi non sarà capitato di ricevere un invito nella «Wunderkammer» privata di qualcuno? Il che può avere anche senso, poiché il nostro ambito è estendibile alla psicologia – fino alla psichiatria).

A differenza del termine meraviglia, il corrispettivo germanico «Wunder» ha origini misteriose. Mi piace l’interpretazione data dall’artista Ugo Dossi, che collega il termine a «Wunde», «ferita», dunque a una sorta di trasgressione, a un qualcosa che spezza l’ordine apparente delle leggi naturali per identificarne un altro (sublime, al di là del limite). In effetti, per la maggior parte delle collezioni di naturalia e mirabilia, il concetto di «Wunder» corrisponde a un metodo ostensibile per organizzare la conoscenza. Si tratta peraltro dei primi musei della storia con i primi cataloghi d’arte, accompagnati da illustrazioni e introdotti da stupende tavole sinottiche, antiporte allegorico-simboliche alle collezioni, nelle quali rintracciare analogie, rimandi, corrispondenze. Una sorta di «sistema operativo» intuitivo che, se vogliamo, anticipa tanti dinamismi propri del mondo digitale.

CHE LE SI CHIAMI «cabinets of curiosities», come in ambito anglosassone e francese, oppure «Wunderkammern», esse indicano nella storia una e infinite cose: i tesori delle chiese medioevali (da cui tutto deriva), le collezioni enciclopediche di farmacisti, di scienziati, ma anche gli studioli di principi, i tesori di imperatori e perfino di zar. Tutti hanno elaborato, ciascuno nel proprio contesto socio-politico, una invenzione del Rinascimento italiano e germanico, quella straordinaria conchiglia protettiva che funge da schermo per accudire un’attività dello spirito. Nella conchiglia non possono mancare spazi per la ricerca e la sperimentazione quali una biblioteca, diversi laboratori, una stamperia, una stanza per le erbe, possibilmente una fonderia.
Il museo vero e proprio, «mondo in una stanza», deve invece includere dipinti, antichità greco-romane, naturalia, artificialia, strumenti scientifici, meraviglie esotiche. Con il sopravvento dei criteri tassonomici dell’Illuminismo, il termine di «Kunstwunderkammer» divenne oggetto di derisione da parte di letterati e scienziati e la maggior parte delle collezioni fu distrutta o dispersa.

TUTTAVIA, la loro eredità fu riscoperta da studiosi come Schlosser e Murray ai primi del ‘900, non a caso in coincidenza dell’affermarsi delle avanguardie storiche; essa sopravvive ancora oggi nel lavoro di alcuni artisti, in collezioni e musei in Europa e negli USA e in particolare nel Regno Unito, dove il fenomeno nell’età del suo fulgore non fu propriamente presente. Va poi ribadito che negli ultimi 20 anni l’«enciclopedismo» è diventato di moda nei circuiti dell’arte contemporanea, ha attraversato un vero e proprio rinascimento senza Rinascimento. Così, il 2 di settembre, avremo modo di guardare più da vicino ai primi musei della storia, da quello di Imperato a quello di Kircher. E lo faremo seguendo un percorso storico-critico che muove da studiosi come Lugli, Impey e Mc Gregor, tutti attivi nei primi anni ’80. A Lugli abbiamo dedicato, dieci anni fa, la mostra «Wunderkammer. Arte, natura, meraviglia ieri e oggi», allestita al Museo Poldi Pezzoli e alle Gallerie d’Italia di Milano.
Il viaggio continua, in un libro in preparazione che contempla anche ambiti e temi d’attualità. Tra le tappe fondamentali per partire: il «Wunderlaboratorio» di Sarzana. Senza lo sguardo del pubblico, come ciascun autore di una «Wunderkammer» che si rispetti sa bene, gli oggetti fantastici e meravigliosi restano muti. Parafrasando Breton (e con lui Max Ernst): io guardo, dunque invento.

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SCHEDA. «Wunderkammer» tra arte e scienza

Martina Mazzotta, storica dell’arte e curatrice, sarà ospite della XX edizione del Festival della Mente di Sarzana con l’incontro dal titolo «Wunderkammer: arte, scienza, meraviglia. Dal Rinascimento fino ai nostri giorni», sabato 2 settembre alle ore 18.30 al Teatro degli Impavidi. Il Festival della Mente , quest’anno dedicato alla meraviglia e diretto da Benedetta Marietti, è promosso dalla Fondazione Carispezia e dal Comune di Sarzana. Tra le e gli ospiti: Massimiliano Valerii, Antonella Anedda, Alessandro Zaccuri, Matteo Nucci, Alberto Rollo, Erika Fatland, Francesca Mannocchi, Alessandro Barbero, Guido Tonelli, Nazareth Castellanos, Vittorio Lingiardi. Info su www.festivaldellamente.it