Se Greta non va a scuola, la scuola vada da Greta
I I Greta questo autunno non andrà scuola. Deve girare il mondo per promuovere lo sciopero mondiale di venerdì 27 settembre, in cui saranno tanti ragazzi come lei a non […]
I I Greta questo autunno non andrà scuola. Deve girare il mondo per promuovere lo sciopero mondiale di venerdì 27 settembre, in cui saranno tanti ragazzi come lei a non […]
I I Greta questo autunno non andrà scuola. Deve girare il mondo per promuovere lo sciopero mondiale di venerdì 27 settembre, in cui saranno tanti ragazzi come lei a non andare a scuola. Non è solo una questione di scelta dei mezzi di trasporto – andare in giro in treno invece che in aereo mal si concilia con i calendari scolastici- ma è che la scuola le sembra inutile, a lei e a tanti della sua generazione. Se gli adulti che comandano non fanno niente per evitare il disastro ambientale, che persino quel po’ di scienza che fanno a scuola considera imminente e inevitabile. Quella poca scienza, perché la scuola da quando chi la governa ha deciso che il suo compito è adattare i giovani al mondo così com’è sembra quasi identificare la scienza con le tecnologie, che da mezzo diventano fine del percorso educativo.
Le ragazze e i ragazzi dei “venerdì per il futuro” pensano che adattarsi al mondo com’è significa adattarsi alle sciagurate conseguenze del riscaldamento climatico, alla desertificazione di gran parte del pianeta, alla siccità e alle alluvioni, all’ingiustizia e alla guerra, a un mondo che considera quasi naturale arrivare sull’orlo della guerra per assicurare la libera circolazione delle petroliere. Riannodano il filo con la buona scuola dei tempi migliori e con quanto di essa resiste con le unghie e coi denti nel presente, quella che ritiene che sia proprio compito non insegnare ad adattarsi ma quello di formare le coscienze per costruire un mondo più bello, più libero e giusto.
Il filosofo e scienziato Heinz von Foerster chiama domande illegittime quelle di cui si sa già la risposta. Foerster, che era un grande studioso della cibernetica, dice che le macchine che sanno rispondere alle domande illegittime sono macchine banali, che non fanno fare un passo avanti al sapere. La nostra scuola e la mostra Università sono in gran parte macchine banali, che valutano sulla base della capacità di rispondere a domande di cui si sa già la risposta.
Al contrario la scuola dovrebbe servire ad educare i giovani a porre domande legittime, che sono quelle di cui la risposta è ignota e va cercata insieme. Le domande illegittime dividono e spingono nella solitudine i docenti e i discenti. Le domande legittime spingono alla collaborazione, a lavorare insieme, impegnano gli stessi docenti ad andare oltre il loro stesso sapere. Le domande illegittime umiliano, le domando legittime fanno crescere.
Molte scuole e qualche Università sono state capaci di mettere in discussione i meccanismi di valutazione che regolano la vita delle nostre Istituzioni educative. Hanno costruito cooperazione educativa contro l’individualismo docente e discente. I ragazzi scesi in piazza a porre la più legittima delle domande, «che ne sarà della nostra vita se continuiamo a distruggere la natura e l’ambiente», erano lì anche perché ci sono tante scuole che a porsi queste domande li hanno educati. E sono oggi loro a porre a noi tutti la domanda decisiva, a cui rispondere insieme.
La scuola è impegnata in questi giorni a resistere contro le ennesime controriforme di questo governo, in perfetta continuità con i governi che lo hanno preceduto. A difendere il valore della storia e della storia dell’arte, a evitare la sciagura del regionalismo dei ricchi. Tutte cose giuste, ma dobbiamo sapere che difendersi non basterà a ridare valore e senso alla scuola per quei giovani che vogliono niente di meno che salvare il genera umano dall’autodistruzione. Che per questo servirà un rinnovamento profondo dei contenuti e della didattica, rompere l’isolamento delle discipline, assumere la lotta al riscaldamento climatico come il senso comune capace di integrare i saperi e dar loro un significato.
L’autonomia differenziata per la scuola sarebbe una sciagura. Ma senza dimenticarsi che limitarsi a riaffermare la centralità dello Stato nazionale rispetto alle Regioni, non supererà nessuno dei problemi e delle ingiustizie che, non scordiamocelo mai, sono cresciute nel centralismo burocratico che ha caratterizzato da sempre la nostra scuola.
La scuola delle domande legittime ha bisogno di calarsi nel territorio, di dialogare coi Comuni, quelli mortificati, assieme all’autonomia scolastica, dal centralismo statale e dal centralismo regionale in conflitto tra loro. Perché un percorso per ridare senso alla scuola deve poter contare su un territorio che si faccia nel suo insieme educativo, che apra la scuola agli adulti che vogliono continuare a studiare e a capire il mondo assieme ai ragazzi, che metta a disposizione delle scuole le opportunità culturali ed educative presenti nel territorio. Che faccia della scuola il momento centrale delle tante azioni locali necessarie a risparmiare energia, a produrla in maniera decentrata e alternativa, a cambiare gli stili di vita e a promuovere la sobrietà dei consumi.
Riprendere in mano e ridare senso alla cultura dell’autonomia, alla scuola come comunità educativa dentro la più vasta comunità del territorio può essere l’elemento centrale di una nuova stagione, che collegandosi al protagonismo dei giovani del venerdì, rimetta la scuola al centro della riflessione e dell’azione per cambiare il mondo, prima che il mondo distrugga se stesso.
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