ExtraTerrestre

Se gli ortaggi non nascono dalla terra

Il fatto della settimana Dagli edifici industriali dismessi ai tetti degli edifici, ovunque stanno crescendo le produzioni «fuori suolo». Il paese leader è l’Olanda, con il 60 per cento di colture idroponiche

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 11 giugno 2020

Si può coltivare facendo a meno di quel complesso ecosistema che è il suolo? Si possono «allevare» piante senza ricorrere alle sostanze nutritive presenti nel terreno? E ancora: possiamo fare a meno del Sole per l’attività fotosintetica delle piante? Coltivare vegetali senza terreno e senza Sole è possibile all’interno di impianti artificiali a ciclo chiuso. Si tratta delle colture idroponiche. Al posto del terreno agrario si utilizza un substrato su cui le piante affondano le radici tenute a contatto con una soluzione contenente gli elementi nutritivi, mentre migliaia di lampadine Led forniscono per tutto l’anno una luce artificiale per la fotosintesi. Si fa credere alla pianta che sia sempre primavera.

LE COLTIVAZIONI FUORI SUOLO VENGONO sperimentate anche sulla stazione spaziale. Si parla con grande disinvoltura di sistemi agricoli spaziali, ipotizzando coltivazioni idroponiche su altri pianeti. Qualcuno è arrivato a domandarsi se sarà possibile coltivare gli ulivi su Marte, a dimostrazione della grande capacità che hanno gli esseri umani di immaginare soluzioni avveniristiche anche nel corso di una pandemia. L’agricoltura senza terra si è sviluppata negli ultimi anni in diversi paesi, generando grandi aspettative e, nello stesso tempo, perplessità e preoccupazioni. L’introduzione di nuove tecnologie, soprattutto nella produzione di cibo, riveste una grande importanza, ma il problema è sempre quello di comprendere quali sono i vantaggi e quali le conseguenze per il pianeta. Entriamo nel merito delle coltivazioni fuori suolo, individuando le potenzialità, i problemi di gestione, le ricadute sull’ambiente. Esempi di coltivazioni senza terra ci arrivano dal passato: i giardini pensili di Babilonia, le isole galleggianti costituite da materiali organici, create dagli Aztechi sul lago Titicaca per coltivare vegetali, sono simili per tecnica alle attuali coltivazioni idroponiche.

LE COLTIVAZIONI IN AMBIENTE PROTETTO (serre) si sono sviluppate a partire dai primi anni ’60 in Olanda e in Gran Bretagna per la coltivazione di fiori e piante ornamentali e, successivamente, di prodotti orticoli. Se lo scopo iniziale era quello di proteggere le piante dalle condizioni climatiche avverse (basse temperature, vento, grandine), in seguito si ricorre alle serre per accorciare il ciclo vitale dei vegetali e avere la disponibilità dei prodotti per gran parte dell’anno. Da questo momento inizia l’epoca del «fuori stagione» per pomodori, zucchine, peperoni, melanzane, fragole. L’avvento delle materie plastiche e l’impiego dei film plastici come copertura al posto del vetro, con una diminuzione dei costi d’impianto, ha determinato una ulteriore espansione delle colture protette anche in zone di agricoltura povera. Ma negli ultimi 10 anni si è andati oltre, introducendo in ambiente protetto le coltivazioni fuori suolo, con una ulteriore «forzatura» nella produzione di ortaggi per averli disponibili 12 mesi all’anno. Se nelle coltivazioni tradizionali è il suolo, con le sue caratteristiche chimico-fisiche e la sua materia organica, a determinare la qualità della produzione e le proprietà organolettiche dei vegetali, nelle produzioni fuori suolo sono le soluzioni nutritive che vengono somministrate alle piante a determinare la qualità del prodotto. La gestione della soluzione nutritiva è l’aspetto più complesso nelle colture senza suolo. Siamo in presenza di una produzione in cui gli alchimisti preparano con processi di sintesi industriale le soluzioni nutritive necessarie alla crescita delle piante. Se la soluzione nutritiva viene riutilizzata, dopo essere stata integrata, si parla di ciclo chiuso, mentre se viene eliminata all’esterno dell’impianto si parla di ciclo aperto. L’illuminazione artificiale e il riscaldamento degli ambienti sono le altre due condizioni per arrivare ad avere il «prodotto finito».

L’OLANDA È IL PAESE IN CUI le produzioni fuori suolo sono più diffuse, rappresentando quasi il 60% delle superfici protette, e il pomodoro la fa da padrone. I due terzi dei pomodori olandesi finiscono in Germania, ma anche l’Italia ne importa ogni anno qualche migliaio di tonnellate. Sono circa 2000 gli ettari delle coltivazioni fuori suolo in Italia e rappresentano circa il 5% delle colture protette.

LA SICILIA HA LE MAGGIORI PRODUZIONI con questa tecnica, soprattutto per il pomodoro nelle varietà ciliegino e datterino. Anche le fragole sono ben rappresentate nel fuori suolo. Il fuori suolo praticato dove non c’è disponibilità di terreno o in aree industriali dismesse può contribuire alla produzione di cibo. In alcune grandi città, con la tecnica della coltivazione idroponica, sono stati utilizzati per la coltivazione di ortaggi i vecchi capannoni dismessi e i tetti di edifici (Urban Farming). Siamo lontani dagli orti urbani tradizionali che favoriscono la biodiversità ed esprimono una esigenza di socialità all’interno di un progetto di comunità, ma produrre pomodori e fragole nella desolazione di un’area industriale dismessa è una pratica che comunque va incoraggiata.

LA FAO HA PIÙ VOLTE SOTTOLINEATO l’importanza delle Urban Farming, anche in considerazione del fatto che nel 2030 il 60% della popolazione mondiale vivrà nelle città. Con la stessa tecnica si possono creare piccoli orti domestici. L’Ikea ha pensato bene di mettere in commercio un kit per una coltivazione idroponica in casa. Le Università di Bologna e Firenze, in occasione dell’Urbanfarm 2019 tenuto a Pordenone, hanno proposto sistemi innovativi di agricoltura urbana per riqualificare alcuni siti nelle città di Bologna, Belluno e Conegliano Veneto. Tuttavia, sono numerosi gli elementi che pesano sulle coltivazioni idroponiche: gli elevati investimenti che essi richiedono, i notevoli costi gestionali, le complesse tecniche per il funzionamento degli impianti, la produzione standardizzata con caratteristiche organolettiche non sempre soddisfacenti. Inoltre, sono sempre più numerosi i consumatori che richiedono prodotti più «naturali» e accettano con difficoltà questo tipo di produzione. Le società di certificazione biologica non riconoscono le colture fuori suolo. Per l’agricoltura biologica il suolo è considerato un fattore essenziale e i regolamenti che ne definiscono le norme affermano che «la produzione biologica vegetale deve contribuire a mantenere e potenziare la fertilità del suolo e le piante devono essere nutrite dall’ecosistema del suolo».

INSOMMA, NON SI PUÒ COLTIVARE fuori suolo e fare prodotti biologici. Il dibattito è molto acceso nei paesi dove sono più estese le coltivazioni idroponiche (Olanda, Germania, Canada) con i coltivatori idroponici che sottolineano la sostenibilità ambientale della tecnica e il notevole risparmio di acqua che ne deriverebbe. Sappiamo che l’attuale sistema di produzione del cibo contribuisce in modo determinante agli squilibri ambientali, ma per risolvere i nostri problemi non possiamo far ricorso ai sistemi agricoli di altri pianeti. In ogni caso, dobbiamo impedire di trasformare la Terra in un ambiente simile a Marte.

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