E così, il collegio piace agli adolescenti. Non quello vero, per carità, ma l’altro ricostruito nell’omonimo reality appena conclusosi su Raidue e che ha avuto un ascolto medio di oltre due milioni e mezzo di utenti, uno share dell’11,23% che si è alzato fino al 40% proprio fra i teen ager, ovvero coloro che hanno la stessa età dei 21 protagonisti. Arrivato alla quinta edizione, di anno in anno Il collegio ha catapultato i finti studenti in ricostruzioni di diversi periodi storici ed educativi: 1960, ’61, ’68, ’82 fino al ’92 della serie appena terminata. E indovinate chi era il più antipatico e premiato? Il più saputello, ovviamente. Poiché cavallo vincente non si cambia, non solo Il collegio continuerà con la sesta stagione, ma Raidue sta già girando un reality ambientato, udite udite, in caserma, mentre Discovery+ partirà in primavera con uno intitolato Ti spedisco in convento in Italia ispirato al format inglese Bad Habits, Holy Orders. Se in caserma ci saranno 21 persone che vivranno per sei settimane alle prese con prove che molti ex militari di leva non ricordano con nessuna nostalgia, il convento ospiterà 5 bad girl che si confrontano con suore vere in una, si suppone, reality versione di angeli contro demoni, forse nella speranza di veder redimersi le cattive, ma poiché la materia è bollente potrebbe venir fuori che i due aspetti possono convivere con gran vantaggio della creatività o della psicosi.

ORA, fa davvero impressione che proprio in un periodo soffocante come questo in cui la vita è ormai una gimcana fra proibizioni, chiusure, divieti, lezioni a distanza, mascherine, contatti personali ridotti all’osso i ragazzi si buttino a guardare dei coetanei costretti a obbedire a regole rigide se non rigidissime. Fa pensare a una coazione a ripetere come chi, infilato in un tubo, non riesca più a concepire una vita fuori dal tubo. Però, fa ancora più impressione che siano gli adulti a offrire loro come modello di vita, di crescita e di confronto solo esperienze che ti rinchiudono in uno spazio e in gabbie normative, come se lo stare dietro a un banco, dentro una divisa o a una cella monastica fosse l’unica alternativa, l’unico immaginario che sanno porgere in contrasto a un mondo impazzito, fra l’altro, non per colpa dei ragazzi, troppo giovani per avere responsabilità, ma degli adulti stessi. È come se dicessero ai giovani «Adesso ti faccio vedere io com’è la vita vera. Adesso ti insegno che cosa sono l’obbedienza, la responsabilità e il rigore. Adesso è ora che impari a diventare grande».

EH GIA’ PERCHE’ se un ragazzino è disattento, cafoncello, ignorante, arrogante o bullo è solo colpa sua e non, magari, della famiglia che lo ha allevato o degli esempi adulti che ha respirato e imitato fin dalla nascita. C’è qualcosa di odioso e sottilmente perverso in questo esperimento fatto sulla pelle delle giovani generazioni con la scusa di intrattenerli e conquistarli come spettatori. C’è l’idea che diventi grande e socialmente accettabile solo se obbedisci e ti adegui a dei rigori formali. C’è il sottinteso che bisogna tornare a un’educazione che non ascolta, ma impone, non incuriosisce, ma punisce, non motiva, ma giudica. Mentre giovani e giovanissimi di mezzo mondo sono in subbuglio e chiedono politiche diverse sul clima, sulla giustizia sociale, sulla distribuzione delle ricchezze, sulla libertà di parola e di movimento, sull’indebitamento eterno dell’essere umano, sulla finanziarizzazione dell’esistenza, noi facciamo vedere programmi che hanno nostalgia per ordine, penitenza e disciplina. Ah, Franti, Franti. Dove sei?

mariangela.mianiti@gmail.com