Sarebbe pedante e oltremodo irriguardoso nei confronti del ministro della cultura del primo governo destra-destra della storia repubblicana ricordargli che le categorie di destra e di sinistra, almeno in politica, hanno una storia che non può precedere il 1789, l’anno della rivoluzione. È in quel frangente infatti, come tutti sanno, che all’Assemblea nazionale francese per la prima volta una parte dell’emiciclo, quello a destra, viene occupato da chi è favorevole alla conservazione di un ordine a garanzia dei privilegi feudali e quello a sinistra da radicali e rivoluzionari che quell’ordine, viceversa, vogliono spezzare.

Sono cose che Gennaro Sangiuliano conosce perfettamente, come ha scritto sul Corriere della Sera (lunedì, 16 gennaio) e se dal palco della convention di Fratelli d’Italia a Milano ha voluto affermare di ritenere Dante Alighieri il fondatore del pensiero di destra nel nostro Paese è perché è perfettamente consapevole delle sue parole tanto più che ha voluto accompagnarle scandendo bene “so di fare un’affermazione molto forte”.

Non, dunque, un doppio svarione alla Gasparri – che qualche giorno prima aveva sostenuto che nel 1861-63, all’epoca della guerra di Crimea, non c’era ancora l’unità nazionale – ma una ponderata riflessione storica. Dante è stato un uomo di destra, ante litteram certo ma non per questo meno significativa e profonda deve essere immaginata la sua adesione ai valori espressi dalla parte politica cui appartiene il ministro, come testimoniano la sua “visione dell’umano, della persona, delle relazioni interpersonali ma anche la sua costruzione politica, che è in saggi diversi dalla Divina Commedia”. Si potrebbe forse obiettare a tanto documentata, folgorante considerazione? Non serve andare a rileggere il De Monarchia, forse la summa del pensiero politico del Sommo Poeta e che segna il suo passaggio dal campo guelfo a quello ghibellino; così lucide e fondate appaiono le parole del ministro.

Facciamo ora qualche ragionamento anche noi che stiamo a sinistra. Dante è universalmente riconosciuto come il padre della lingua italiana, per estensione della stessa nazione italiana, “una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue e di cor” come scriverà più tardi Alessandro Manzoni. Appropriandosi di Dante la destra ci infligge, dunque, un duro colpo. Bisogna reagire e bisogna fare in fretta.

Prima che ci pensi ancora una volta Sangiuliano. La lirica volgare emerge in Toscana a cavallo fra il XIII e il XIV secolo con Brunetto Latini, Chiaro Davanzati, il Dolce Stil Novo di Guido Cavalcanti, un po’ più vecchio ma amico di Dante. Tuttavia, prima ancora, nei primi decenni del 1200, alla corte di Federico II di Svevia, stupor mundi, il movimento letterario della Scuola Siciliana aveva già abbandonato il latino e dato alla luce le prime liriche in vernacolo. Il più noto degli autori di questa Scuola è probabilmente Jacopo da Lentini, detto il Notaro, in assoluto uno dei primi a poetare in siciliano illustre per marcare la vocazione laica del suo imperatore e l’indipendenza dello Stato dalla Chiesa. Una scoperta che non farà piacere ai nostri teocon. Eppure a Jacopo e ai suoi colleghi siciliani faranno successivo riferimento i toscani e lo stesso Dante. Non si perda allora altro tempo e si dichiari di sinistra, anch’egli certo ante litteram, il Notaro. E se non dovesse bastare si dica una volta per tutte che Federico di Svevia era un compagno. Non vedo altro modo per reagire con prontezza ed efficacia al micidiale attacco che abbiamo subito da parte del ministro della cultura.