Se D’Alema fa notizia…
In una parola La rubrica settimanale di Alberto Leiss
In una parola La rubrica settimanale di Alberto Leiss
A volte ci imbattiamo in singolari coincidenze e concomitanze di fatti e di relazioni con le persone. Sabato mattina ho partecipato nella veste di ospite rappresentante dell’Ars (Associazione per il rinnovamento della sinistra) alla riunione delle sinistre interne del Pd tenuta a Roma. Ho ascoltato con attenzione diversi interventi, e anche quello di Massimo D’Alema. Dopo poche battute ho subito pensato che quel discorso, con la crudezza delle parole rivolte a Renzi, sarebbe stato il principale, se non l’unico a «fare notizia».
Dopo tanti anni di professione giornalistica il mio abito mentale resta quello dell’osservatore che prende appunti. Se avessi dovuto scrivere io la cronaca del giorno di quella riunione, avrei cercato di non rimuovere completamente contributi interessanti come quelli di Carlo Galli – che ha descritto la deriva attuale dei sistemi democratici, non solo in Italia, verso un intreccio tra nuovi poteri economici, politici e mediatici che si lascia alle spalle la vecchia tripartizione di Montesquieu – o di Mario Dogliani, che ha ricordato come la «crisi della rappresentanza» di cui tanto si parla, sia da declinare anche, forse soprattutto, come l’incapacità della politica di «rappresentare» una nova società, diversa e più desiderabile di quella esistente. E di creare legami sociali in un momento storico in cui tutti quelli che fondavano fino a qualche decennio fa il ruolo di partiti e istituzioni sono inesorabilmente saltati.
O anche le parole – appassionate, e molto applaudite – di Barbara Pollastrini, che pur appartenendo alla generazione dei D’Alema (e di chi scrive), si è spiegata il successo travolgente di Renzi anche con gli errori, il «poco coraggio», l’autoreferenzialità, dei gruppi dirigenti che hanno preceduto il terribile ragazzo fiorentino.
Ho anche pensato – con tristezza – a un vecchio amico (e maestro) da poco scomparso (ne ha scritto su questo giornale Sergio Bologna): Giovanni Cesareo, e al suo aureo libretto «Fa notizia», pubblicato dagli Editori Riuniti nel 1981. Un manuale brillante e sintetico che dovrebbero aver letto tutti coloro che con le notizie e per le notizie lavorano. Dove si spiegano con chiarezza i meccanismi che formano quel «senso comune giornalistico», secondo il quale i dettagli emozionanti e provocatori vincono sempre sul racconto e l’approfondimento dei processi che in ultima analisi determinato la realtà e i famosi «fatti».
Sono rimasto poi sorpreso dal «fatto» che una delle proposte finali di D’Alema sia stata quella di costituire una «associazione per il rinnovamento e la rinascita della sinistra» alla quale credevo di appartenere già da una ventina d’anni…
La cosa mi ha affettuosamente divertito. Sì, rischierò di rovinarmi la poca reputazione che mi rimane confessando una propensione affettiva verso D’Alema.
Il quale – come direbbe l’originale inventore dell’Ars, Aldo Tortorella – mi è sempre sembrato un uomo spesso «vittima delle proprie medesime macchinazioni». Uno, cioè, che per una qualche misteriosa torsione del proprio linguaggio nel rapporto con la realtà e il senso di sé, riesco molto spesso a rappresentarsi peggiore di quanto suppongo che sia (e lo suppongo anche sulla base di una non breve, anche se ormai antica, consuetudine di lavoro comune).
La fantasia che mi è venuta è stata quindi quella di andare dal noto esponente della «sinistra extraparlamentare» e di proporgli di entrare nella già esistente Ars. Non per farne qualcosa da opporre militarmente alla moltiplicazione delle Leopolde, ma un luogo di ricerca aperto per reinventare la politica che ci manca.
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