Se crisi e pandemia «sbiadiscono» i colori e le voci del pacifismo
SAGGI Il libro «Non c’è pace» di Romina Perni e Roberto Vicaretti, per le edizioni People
SAGGI Il libro «Non c’è pace» di Romina Perni e Roberto Vicaretti, per le edizioni People
«Il silenzio della società civile, il vuoto delle piazze, il grigio che aveva offuscato l’attivismo movimentista sono stati squarciati da una mobilitazione nuova, inaspettata, fresca e vivace: quella contro il cambiamento climatico».
SI CONCLUDE da dov’era partito, Non c’è pace, crisi ed evoluzione del movimento pacifista di Romina Perni e Roberto Vicaretti (People, pp.160, euro 15). L’arcobaleno delle manifestazioni contro la guerra in Iraq del 2003 che assume le tonalità del verde modello Fridays for future, dunque, con una leadership riconosciuta quale quella della giovanissima svedese Greta Thunberg, e che mette a dura prova l’analisi svolta in tutto il libro sulla crisi di partecipazione politica e sulla paura come elemento dominante nella società dell’ultimo decennio.
Difficile dar loro torto: dagli attentati terroristici che hanno scosso le società occidentali al loro interno alla pandemia di Covid-19, gli spazi per i movimenti che propugnano un diverso assetto globale dell’economia, della politica e della società si sono ridotti sempre più, in nome di stati di emergenza e dispositivi di controllo sempre più costrittivi, e ancora di più in base a un sistema di paure ben organizzate.
SECONDO Perni e Vicaretti, lo spartiacque è stata la crisi economica del 2008, o meglio la sua onda lunga che ha portato la Banca d’Italia a contare, nel 2016, quasi quattordici milioni di persone che vivono con meno di 830 euro al mese. «La crisi ci ha reso più egoisti?», si chiedono dunque gli autori.
In realtà, argomenta il sociologo Massimiliano Panarari, «è molto più facile protestare e mobilitarsi avendo la pancia piena, nel momento in cui la crisi economica e il disagio sociale si allargano, entrano in crisi i regimi politici e la mobilitazione si fa molto più problematica».
POTREMMO AZZARDARE che una buona parte delle mobilitazioni sono iscritte in una dialettica politica conflittuale che, nel momento in cui si indebolisce, provoca per converso un affievolimento delle capacità di rivendicazione. Per quanto riguarda il pacifismo, secondo Panarari c’è un di più: «La pace è un valore post-materialista».
In quanto tale, diviene un «elemento generativo di formazioni politiche nel momento in cui vengono assicurati gli elementi fondamentali della sopravvivenza politica e materiale. In un momento di crisi economica, tali valori si ritirano ed emergono altre priorità che, in assenza di forme organizzate della politica, faticano a diventare i collettori di tali istanze».
NONOSTANTE sia composto da giovanissimi, il nuovo movimento ecologista, secondo gli autori di Non c’è pace, è diretto discendente non solo di quello pacifista dei primi anni del nuovo millennio, ma pure di quello nato a Seattle nel 1999 e deflagrato al G8 di Genova 2001. Prima ancora, c’era stato il pacifismo delle prime marce Perugia-Assisi, quello della prima bandiera arcobaleno datata 1961 e custodita a Perugia dalla Fondazione Capitini, e poi quello delle manifestazioni contro gli euromissili a Comiso, in Sicilia, risalenti agli anni Ottanta. «Se puntiamo la telecamera sul serpentone arcobaleno e iniziamo a stringere l’inquadratura, osserviamo come a spiccare sia il colore rosso», scrivono Perni e Vicaretti. A loro avviso, è «la rappresentazione del contributo che la sinistra e le sue organizzazioni hanno saputo dare al movimento pacifista».
Forse non è un caso che, sbiadito il colore portante, si sia affievolita pure la voce del movimento per la pace. Ora, è il punto di approdo di Perni e Vicaretti, è il verde di chi lotta per fermare i cambiamenti climatici che raccoglierne l’eredità e rinnovarlo con una diversa sensibilità.
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