In una delle scene più belle del film di Woody Allen, Hannah e le sue sorelle, Barbara Hershey e Michael Caine flirtano fra gli scaffali della libreria newyorchese Pageant discorrendo di arte e letteratura. A un certo punto, sfogliando il catalogo di una mostra, lei gli suggerisce di visitare l’esposizione su Caravaggio al Metropolitan che le è piaciuta tanto, e subito dopo gli chiede se anche lui ama Caravaggio. La risposta di Caine è sbrigativa, perché non riesce a concentrarsi sulla conversazione tanto è preso da lei, ma ugualmente perentoria e illuminante: «Oh yes, who doesn’t?». Già, a chi non piace Caravaggio? Apparentemente il suo nome gode di un’unanimità di consensi. Da parecchi anni a questa parte, infatti, tutte le mostre che lo riguardano, anche quelle più improvvisate, riscuotono un grande successo di pubblico, tanto che il suo nome spesso funziona da specchietto per le allodole in molte iniziative discutibili, non a caso Tomaso Montanari ha intitolato un suo pamphlet «La madre di Caravaggio è sempre incinta».

EPPURE, qualcosa in più si potrebbe ancora fare, da parte delle istituzioni, per tutelare e valorizzare uno dei nostri artisti più famosi e apprezzati nel mondo. A partire da piccole cose, come applicare una targa commemorativa sulla sua abitazione romana in vicolo del Divino amore 19, l’unica casa esistente in cui non visse come ospite di altri, fossero i suoi mecenati oppure amici e colleghi, fino a interventi più onerosi ma necessari come la partecipazione dello Stato all’asta che si svolgerà oggi, giovedì 12 gennaio, per la vendita del Casino Boncompagni Ludovisi, all’interno del quale è custodito l’unico dipinto murale del Caravaggio. Al momento, la sola voce che si è levata in questo senso è quella della Sottosegretaria alla Cultura Lucia Borgonzoni, eppure oggi la cifra non è più proibitiva come un anno fa, quando l’asta partiva da 471 milioni di euro. In quest’ultima tornata il prezzo di partenza supera di poco i cento milioni, che è una cifra ragionevolmente congrua considerando i tesori inestimabili contenuti in quello scrigno di meraviglie.

L’edificio risale alla metà del Cinquecento, ma fu il cardinale Francesco Del Monte, uno dei primi estimatori del Caravaggio, a impreziosirlo acquistandolo nel 1596 e commissionando poco dopo a Caravaggio un dipinto sul soffitto del suo gabinetto alchemico. Oltre a questo, c’è un grande affresco del Guercino sull’Aurora da cui prende il nome la villa, poi altri affreschi del Tassi e di Brill, una scala progettata da Cesare Maderno, nel giardino vi è la scultura di un satiro attribuita a Michelangelo, e in casa soggiornarono grandi artisti come Goethe, Ciajkovskij, Henry James, Nathaniel Hawthorne ed altri.

MA LA GEMMA PIÙ PREZIOSA resta indubbiamente l’opera di Caravaggio, un unicum che non può andare in mano a privati, magari anche stranieri (gli ultimi rumours parlavano dell’interessamento di Bill Gates, che già si accaparrò un codice di Leonardo). È un unicum perché non è prestabile, essendo un dipinto a muro, bisogna vederlo per forza in loco. Giovan Pietro Bellori, uno dei suoi biografi, racconta che Caravaggio con quel dipinto volle smentire le accuse dei detrattori circa il fatto che non sapesse fare scorci arditi e neppure dipingere ad affresco, così per raffigurare Giove, Nettuno e Plutone col cane Cerbero si autoritrasse nudo con a fianco il fido cane Cornacchia, un bastardino nero dal quale non si separava mai e a cui aveva insegnato «giuochi meravigliosi» come camminare sulle zampe posteriori. Alla tecnica dell’affresco alla fine rinunciò, dipingendo ad olio su muro per poter avere il tempo di fare delle correzioni, ma per l’audace illusionismo prospettico del sotto-in-su, come sostiene la storica dell’arte Rossella Vodret, Caravaggio dipinse nudo su un ponteggio poggiando i piedi sopra uno specchio; quindi, la triade alchemica che vediamo in realtà è lui a ventisei anni come natura l’ha fatto, e già questo fa capire l’eccezionalità dell’opera.

IN UN MOMENTO STORICO particolarmente favorevole alla formula delle case-museo, il Casino dell’Aurora potrebbe diventare una tappa obbligata del turismo culturale, collocato com’è a pochi passi da piazza Barberini e via Veneto. In fondo gli itinerari culturali passano anche attraverso le case dei grandi artisti, com’ebbe a dire Franceschini un anno fa istituendo il museo di Casa Bellonci ai Parioli, la memoria storica del Premio Strega. Ma il primo a indicare la strada da seguire fu il premio Nobel Orhan Pamuk, quando affermò, ne Il museo dell’innocenza, che «il futuro dei musei è nelle case private». Lo scrittore turco prendeva spunto dal successo delle spettacolari Wunderkammer del Poldi Pezzoli e del Bagatti Valsecchi di Milano, della Frick Collection e della Morgan Library di New York, ma pure del Museo di Gustave Moreau a Parigi e della casa di Mario Praz a Roma, tutti luoghi capaci di farci battere il cuore con l’emozione profonda di una storia personale e familiare, e il Casino dell’Aurora certo non sfigurerebbe al confronto. E poi se è vero che la madre di Caravaggio è sempre incinta, allora qui si tratta di non farsi portar via il suo primogenito.