Se anche Patuanelli si accorge che la politica costa
5 Stelle Il capogruppo al Senato ammette: servirebbe il finanziamento pubblico ai partiti. Conte lo smentisce ma sa che il problema è reale
5 Stelle Il capogruppo al Senato ammette: servirebbe il finanziamento pubblico ai partiti. Conte lo smentisce ma sa che il problema è reale
«La posizione del M5S resta contraria al finanziamento pubblico dei partiti» dice Giuseppe Conte. La puntualizzazione arriva dopo che il capogruppo al Senato (e contiano di ferro) Stefano Patuanelli ha detto al Corriere della sera di aver cambiato idea circa la «politica a costo zero» che agli albori rivendicavano Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.
Bisogna rinfrescare la memoria per capire l’enormità del contendere. Se oggi se si parla di piattaforma Rousseau la cosa assume un sapore ironico, quasi nostalgico, come accade con tutti gli attrezzi passati di moda. Ma all’epoca l’idea era che la macchina organizzativa del primo partito del paese si potesse delegare a un’infrastruttura tecnologica, in un misto di ingenuità e ottimismo digitale. Secondo la narrazione grillina, inoltre, la fantomatica «rete» avrebbe potuto sobbarcarsi il lavoro della selezione della notizie e della costruzione della pubblica opinione.
Prima che il tecnofeticismo venisse rimosso con imbarazzo e una certa fretta, fu la scarsa funzionalità dei dispositivi immaginati dal co-fondatore a far cambiare idea ai vertici del M5S. Conte cerca di tenere il punto, ma il partito che lui stesso promette, strutturato sul territorio con tanto di scuole formazione, servono quattrini. Senza considerare quelli che gli chiede Grillo in qualità di consulente alla comunicazione e che servono per Vito Crimi, l’ex portavoce che partì per tagliare i sussidi all’informazione cooperativa e che finì a chiedere di lavorare in parlamento. A spese nostre.
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