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Scuole e ospedali, dove l’amianto non è mai andato via

Ambiente La fibra tossica presente ancora in 370 mila strutture pubbliche e private, tra cui 20 mila siti industriali. Il problema maggiore è lo smaltimento

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 27 maggio 2021

L’etimologia evidenziava già il problema. Amianto, in greco «incorruttibile», asbesto «inestinguibile» ed eternit, dal latino aeternitas, ovvero eternità. A quasi trent’anni dalla legge che ha messo al bando l’amianto (entrata in vigore nel 1992), facciamo i conti con tutte le questioni sollevate negli anni dal movimento di Casale Monferrato (Alessandria) contro la fibra killer: giustizia, ricerca e, appunto, bonifica di questo materiale tenace e pericoloso. La mappatura nazionale è ancora incompleta e a macchia di leopardo, disomogenea tra regioni, e finché la sorgente del male rimarrà viva non potrà essere oltrepassato il picco delle morti, che secondo l’Inail supera le 6 mila l’anno.

NELLA BANCA DATI AMIANTO, predisposta dall’Inail in convenzione con il ministero per la Transizione ecologica (che dall’attuale governo ha sostituto il ministero dell’Ambiente), rientrano circa 108 mila siti interessati dalla presenza di asbesto. In base alla mappa sullo stato delle bonifiche dei siti d’amianto di origine antropica (dati aggiornati al 31 dicembre 2019), i siti bonificati sono 7.740 e quelli parzialmente bonificati 4.261. Secondo il dossier «Liberi dall’amianto?», realizzato da Legambiente nel 2018, sul territorio nazionale ci sono circa 370 mila strutture contenenti amianto (tra cui 214.469 edifici privati, 50.744 pubblici, 20.269 siti industriali e 65 mila coperture in cemento amianto). Dai dati diffusi dall’Osservatorio nazionale amianto (Ona), in occasione della Giornata mondiale vittime dell’amianto, lo scorso 28 aprile, emerge come in Italia ci siano ancora 58 milioni di mq di coperture in cemento-amianto, oltre a 40 milioni di tonnellate di materiali contenenti amianto. L’Ona segnala, poi, la presenza di amianto in almeno 2.400 scuole (sarebbero esposti più di 352 mila alunni e 50 mila docenti e non docenti), mille fra biblioteche ed edifici culturali, 250 ospedali. Il tallone d’Achille resta lo smaltimento, aggravato da un’impiantistica non sufficiente, che impone di esportare all’estero una buona parte del materiale rimosso.

«Più tardi si completa la bonifica, peggio è – spiega Bice Fubini, presidente del Centro interdipartimentale per lo studio degli amianti e di altri particolati nocivi “Giovanni Scansetti” dell’Università di Torino – Casale, in questo, è stata un modello ed è finalmente amianto zero. Sotto il sindaco Titti Palazzetti è stata organizzata la bonifica dei luoghi pubblici e agevolata quella dei privati. E, sempre in Piemonte, nella ex cava di Balangero è stato fatto un ottimo lavoro. Ma restano, in Italia, tantissimi luoghi dove l’amianto va rimosso o tenuto sotto controllo. Restano aperti i problemi relativi ai cantieri navali, per esempio a Monfalcone, le navi da guerra erano imbottite di amianto, a Taranto, nell’area ex Ilva, a Bari, dove c’era la Fibronit e, poi, c’è il caso Sicilia, dove si trovano situazioni dove il materiale è abbandonato o recintato malamente. Ma c’è un’altra questione importante, quella delle discariche d’amianto di cui dovrebbero dotarsi i territori. E in questo ci vorrebbe una corretta informazione per infondere fiducia nei cittadini: l’amianto non è come una scoria radioattiva, è un solido che deve essere ben chiuso, fa male, infatti, se respirato».
Anche Legambiente con il responsabile scientifico Andrea Minutolo sottolinea l’importanza di dotarsi almeno regionalmente di impianti per lo smaltimento dell’amianto: «C’è la necessità di seppellire e tumulare i manufatti, oltre che di una corretta informazione per contrastare l’illegalità del materiale abbandonato a cielo aperto, che rappresenta un danno ambientale e sanitario». E lamenta la mancanza della «rimozione dell’amianto» dal superbonus 110% per l’edilizia, di cui è previsto il rinnovo dal Pnrr (il Piano nazionale di ripresa e resilienza), presentato dall’esecutivo Draghi. Un aspetto ripreso nella lettera aperta al premier inviata dal Coordinamento nazionale associazioni amianto (Cnaa), in cui viene chiesta, appunto, l’estensione del superbonus per la bonifica dell’amianto negli immobili privati e vengono formulate altre istanze: copertura finanziaria da parte dell’Inail delle richieste di contributi per la bonifica da parte di imprese; miglioramento delle prestazioni economiche del Fondo per le vittime dell’amianto; riconsiderazione dei tempi di accesso alla pensione per i malati e gli esposti all’amianto che hanno un’attesa di vita inferiore a quella della popolazione generale; finanziamento della ricerca clinica per le terapie efficaci per la cura dei tumori asbesto correlati.

LE FIBRE D’AMIANTO PIÙ PERICOLOSE sono quelle lunghe e sottili che penetrano fino alla pleura, più sono sottili, più passano diverse barriere, e più sono lunghe, più sono persistenti. Ma qual è la risposta del sistema immunitario quando le fibre vengono inalate? «In parte – precisa la professoressa Bice Fubini – vengono esalate, in parte fermate nelle vie aeree superiori. Quando arrivano agli alveoli polmonari, incontrano cellule del sistema immunitario, dette macrofagi, preposte a eliminare i batteri: sono cellule dotate di una batteria chimica per distruggere e sono attrezzate per fagocitare un batterio, bombardandolo con sostanze attive. Ma quando c’è una fibra, specie se lunga, la cellula muore e quella batteria chimica predisposta per eliminare batteri si riversa nella zona creando una situazione di infiammazione cronica che è un’anticamera sia all’asbestosi che ai tumori polmonari. Le fibre lunghe e sottili dagli alveoli trapassano la membrana che li separa dalla pleura e stazionano tra le due membrane pleuriche. Le fibre lunghe sono trattenute più di quelle corte. Avremo così la somma di un processo infiammatorio nei polmoni, negli alveoli e nella pleura. Questa situazione complessiva determina la cancerogenicità, come nel caso del mesotelioma. Durante la mitosi cellulare, inoltre, le cellule che incontrano la fibra vanno verso a mutazioni del Dna e i radicali liberi rilasciati dalle cellule possono indurne ulteriori».

LA PERCEZIONE DI TUTTO CIÒ A CASALE MONFERRATO è maggiore che altrove. La città non ha smesso di pagare, in numeri di malati e morti, l’eredità dell’Eternit, nonostante sia scomparsa dal paesaggio. La fabbrica non c’è più, è stata sostituita da un parco che ha il nome emblematico di Eternot. La giustizia, però, non è ancora giunta. Il maxiprocesso di Torino ai vertici della multinazionale si è scontrato con la prescrizione nel 2014, nonostante il mesotelioma sia una malattia che si può sviluppare 40 anni dopo l’esposizione. E, ora, manca poco al nuovo processo di Novara che inizia il 9 giugno e vede Stephan Schmidheiny imputato per 392 morti. «Noi – racconta Bruno Pesce, sindacalista, anima dell’Afeva (Associazione familiari vittime amianto) – auspichiamo di ottenere finalmente quella giustizia negata. L’Eternit chiuse nel 1986, il primo processo si svolse nel 1993, tutti prescritti, ne seguirono poi altri. La vicenda, in questi anni, ha messo in luce tutte le carenze del sistema giudiziario nell’affrontare i disastri ambientali. La responsabilità dolosa della multinazionale, che conosceva la cancerogenicità dell’amianto, è ormai chiara, ma coloro che provocano questi disastri continuano a farla franca. Noi vorremmo pari garanzie per le vittime. È in atto, invece, uno squilibrio che la politica e le istituzioni devono affrontare, scegliendo da che parte stare».

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