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Scuola non per tutti e tutte

La riforma Dalle aule scompare la libertà di pensiero. La portata della manifestazione di oggi testimonia che si deve cambiare, profondamente. Per tornare alla Costituzione

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 5 maggio 2015

Oggi la scuola riempie l’Italia. Ne riempie le strade, pacifiche e colorate, e vuole rappresentare l’orgoglio della scuola pubblica, la scuola di tutte e tutti. Non ci lasceremo fermare – sostiene Renzi – da chi non vuole cambiare. Non dice che la scuola è stata sottoposta, dal 2008, a una cura da cavallo. Sottratte risorse per 8 miliardi e mezzo, tagliati circa 80.000 posti di docenza e 50.000 di personale Ata, impoverita nel suo progetto culturale. E se ha funzionato lo si deve al popolo indomito di insegnanti e dirigenti che ogni giorno hanno di fronte nelle classi chi il cambiamento lo rappresenta.

È un popolo che continua ad essere più avanti di chi lo governa.

Oggi, in primo luogo, servirebbe restituire a quella scuola il maltolto: in termini di risorse umane e finanziarie. Se è vero che questo governo vuole assumere 100.000 precari deve farlo subito e con decreto. Già oggi è tardi per dare il tempo alla struttura amministrativa per predisporre le assunzioni a settembre. Questo chiede con forza la manifestazione di oggi, questo chiedono i sindacati che l’ hanno promossa.

L’accanimento del premier e anche della Ministra contro chi dissente nasconde il tentativo di spostare la discussione dal vero problema. Quella scelta autoritaria che si nasconde dietro la volontà di affidare ai dirigenti scolastici il governo complessivo del sistema. Il tentativo di ripristinare un ordine, una catena di comando gerarchizzata e burocratica, una trasmissione verticale della volontà politica del governo sul come e in che direzione debba andare la scuola. C’è poi un altro rischio assai pesante in questo modello. La scelta degli insegnanti da parte dei presidi alla lunga produrrebbe gerarchie inaccettabili tra le scuole: scuole di serie A e di serie B, per i ricchi e per i poveri, per i centri e per le periferie. Approfondendo un fattore di crisi, quello delle diseguaglianze, che invece bisogna sanare, per tornare alla scuola della Costituzione.

Il cuore di questa riforma è questo e non è emendabile. Una scuola senza soldi e ora anche senza libertà di pensiero. Perché anche l’osservatore più filorenzista sa, e ne ha parlato, che affidare la scelta degli insegnanti a un meccanismo gerarchico e autoritario vuol dire infliggere un colpo durissimo a ogni capacità critica, alla libertà di insegnamento, alla ricerca continua di modelli pedagogici ed educativi che fanno della scuola italiana un modello di riferimento internazionale. Come può funzionare un sistema così rigido e così frantumato? Dove finirebbe quel mondo complesso e plurale che della sua complessità ha fatto la ricchezza del paese? Cosa resta dell’autonomia se non rappresenta la responsabilizzazione di tutti i soggetti della vita della scuola e la scommessa di un governo condiviso?

Senza dire delle tredici deleghe attraverso le quali, senza contraddittorio e con decreti legislativi elaborati dal governo, si cambierà definitivamente la fisionomia della scuola italiana, dalla formazione degli insegnanti, alle «modalità di assunzione come in altri settori del pubblico impiego» ( Jobs act anche nella scuola?), alla revisione delle attività di sostegno, già assurdamente ridotte. Si tornerà indietro rispetto a una normativa tra le più avanzate d’ Europa? E sono solo alcuni esempi.

La piazza di oggi è una piazza immensa quanto il cuore della nostra scuola, quanto le sue mille voci. Renzi a Bologna, nel pieno di una contestazione, ha detto che qualcosa si può cambiare. L’ampiezza della manifestazione di oggi testimonia che si deve cambiare, profondamente.

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