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Scuola, nella lista di Renzi manca la «Quota 96»

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Svolte epocali A 24 ore dal Consiglio dei Ministri che dovrebbe varare anche le 29 «linee guida» sulla scuola, il personale scolastico «Quota 96» è uscito dai radar del governo. Le risorse per mandare in pensione 4 mila persone che ne hanno diritto non sono state ancora trovate. E spunta la proposta sulla «Quota 100». Domani la protesta a Roma

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 28 agosto 2014

La «Quota 96» diventerà «Quota 100». È il personale scolastico che il governo Renzi si era impegnato a mandare in pensione, rispettando un diritto acquisito, solo venti giorni fa. Dalla mirabolante confusione prodotta dagli annunci sulla scuola, nelle ultime ore sta emergendo una realtà completamente diversa.

Le quattromila persone di «Quota 96» dovranno rinunciare ai loro diritti per carenza di fondi. Per loro una soluzione ancora non c’è. E a settembre resteranno al lavoro
Da priorità, la «Quota 96» è tornata ad essere un’incognita. Per risolvere un problema che è diventato ormai imbarazzante, il presidente della commissione bilancio alla Camera Francesco Boccia (Pd) ha proposto l’ipotesi di «Quota 100».

L’uscita dal lavoro per il personale avverebbe nel biennio 2014-2015, dividendo l’intervento in due tranche: la prima entro il 2014, la seconda il primo settembre 2015. Chi avrà maturato un’anzianità contributiva di 38 anni, e ha un’età compresa tra i 62 e i 64 anni, avendo raggiunto ormai quota 100 o 102, andrebbe in pensione senza penalizzazioni, lasciando spazio a chi attende in graduatoria un contratto a tempo indeterminato.

Sono ipotesi tutte ancora da valutare, e non solo per l’estrema difficoltà nel reperire le risorse dal ministero dell’Economia. Già a luglio era infatti emersa la proposta sulla rateizzazione del trattamento di fine servizio (Tfs). Nell’ipotesi di Boccia, invece, non ci saranno penalizzazioni e alle 4 mila persone dovrebbero essere riconosciuti gli stessi diritti di chi ha cessato di lavorare entro il 31 dicembre 2011.

Tra le ipotesi sul tavolo c’è quella di ripresentare l’emendamento bocciato alla riforma della pubblica amministrazione. In attesa di chiarimenti, o di nuovi rovesci simili a quello che ha imposto la resa al Pd, l’ipotesi è piaciuta al presidente della Commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano (Pd): «Chiedo a Renzi che fine faranno gli insegnanti di quota 96 – afferma Damiano – e di dire con chiarezza se il governo ha davvero intenzione di assumere 100 mila insegnanti precari. Renzi faccia una sforzo: arrivare a 104 mila assunzioni e sanare così un’ingiustizia grave».

Gravoso è anche il compito di reperire 416 milioni di euro, insieme a una cifra ancora da quantificare (quanti miliardi di euro per cinque anni?) per stabilizzare 100 mila precari dal 2017 al 2022. I «Quota 96» non si rassegnano. Domani alle 11 manifesteranno a piazza Santi Apostoli a Roma insieme ai sindacati e precari. Dopo gli interventi sono stati annunciati flash mob e manifestazioni in città.

Il pasticcio sulla «Quota 96» spiega le difficoltà in cui versano i governi assediati dall’austerità. Esponenti di primo piano del Pd (Boccia, Damiano, Ghizzoni) si erano impegnati a correggere questo errore prodotto dalla riforma Fornero delle pensioni votata dal loro partito e dal Pdl. Costo: 416 milioni di euro in tre anni. Quando però la Ragioneria dello Stato ha negato i fondi, che Boccia riteneva ormai acquisiti, è scoppiata una rissa furibonda.

Boccia è salito sulle barricate: «Qualcuno al ministero dell’Economia se ne frega di quel che dice il parlamento. Sarà la manina dell’austerity, c’è troppa gente che tenta di mettere in difficoltà il cammino delle riforme» ha detto. Toni inusuali ed fuori dalle righe dovuti alla cancellazione dell’emendamento su «Quota 96» dal Dl Madia 90/2014 insieme a quelli sui pensionamenti d’ufficio a 68 anni per i docenti universitari, sulle pensioni di reversibilità per le vittime del terrorismo e sulle penalizzazioni al trattamento pensionistico.

Ardori sui quali Renzi ha versato una secchiata d’acqua usando un’argomentazione singolare: «L’emendamento su Quota 96 non c’entrava nulla con la ratio della riforma della P.A. È stato giusto toglierlo dal decreto». A questo personale Renzi aveva riconosciuto solo la «legittimità» ad andare in pensione, ma non il «diritto». Detto, fatto. Mancano ancora 24 ore al Cdm. Domani sapremo se la «manina» dell’austerity avrà calato un nuovo asso. Non è escluso che le poche carte a disposizione del governo verranno rimescolate nel mazzo della legge di stabilità.

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