Scuola, le regioni frenano sulla riapertura del 7 gennaio
Salta il banco A quattro giorni dalla riapertura al 50% delle superiori, prevista con il governo, le regioni frenano: il contagio è troppo alto. Bonaccini: «Il governo ci riconvochi se i dati preoccupano e prenderemo decisioni laiche». In Puglia rispunta l’opzione «Fai da te», in Campania si torna forse il 25, Zaia è perplesso. La protesta dei docenti romani con gli appelli e le denunce pubblicate sul sito del Manifesto: "Basta propaganda, vogliamo rientrare in sicurezza"
Salta il banco A quattro giorni dalla riapertura al 50% delle superiori, prevista con il governo, le regioni frenano: il contagio è troppo alto. Bonaccini: «Il governo ci riconvochi se i dati preoccupano e prenderemo decisioni laiche». In Puglia rispunta l’opzione «Fai da te», in Campania si torna forse il 25, Zaia è perplesso. La protesta dei docenti romani con gli appelli e le denunce pubblicate sul sito del Manifesto: "Basta propaganda, vogliamo rientrare in sicurezza"
A quattro giorni dalla riapertura delle scuole superiori al 50%, e non al 75% come stabilito dal governo nel Dpcm del 3 dicembre scorso, il presidente della conferenza delle regioni e presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini ieri ha detto che l’orientamento potrebbe cambiare di nuovo: «Il governo ci riconvochi se i dati preoccupano e prenderemo decisioni laiche». Favorevole a un lockdown più lungo, Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute Speranza, insiste sulla necessità di non riaprire fino alla metà di gennaio. Entro il 15 gennaio, quando nelle superiori dovrebbero esserci in presenza il 75% degli studenti un nuovo Dpcm potrebbe ridimensionare questa percentuale.
DAL 7 GENNAIO è comunque probabile che gli studenti pugliesi, campani e veneti (tra gli altri) seguiranno calendari diversi da quelli auspicati dalla ministra dell’istruzione Lucia Azzolina e dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte. A Bari il presidente della regione Emiliano ha confermato ieri la sua ricetta sulla «scuola fai da te» già contestato ma confermato dal Tar Puglia: se lo riterranno, saranno i genitori a scegliere di mandare i figli nelle scuole di ogni ordine e grado. Prima di emanare una nuova ordinanza Emiliano incontrerà oggi sindacati, presidi e associazioni con gli assessori Sebastiano Leo, Pier Luigi Lopalco e Anita Maurodinoia. «In tempo di pandemia – hanno fatto sapere dalla Regione – si ritiene che le famiglie debbano poter decidere di non esporsi ai rischi derivanti dalla frequenza obbligatoria a scuola, rischi che in classe esistono come in ogni altro luogo di comunità». L’assessore epidemiologo Lopalco ha ribadito l’impossibilità di garantire un sistema di tracciamento mentre la curva epidemiologica è fuori controllo (315,87 casi ogni 100 mila residenti, invece di 50 ogni 100 mila) e «la zona gialla è stata un errore».
A NAPOLI il 30 dicembre scorso, in un incontro tra l’assessore alla scuola Lucia Fortini e le sigle sindacali di settore tranne Anief e Cobas, è stato convenuto un rientro graduale nelle classi che da marzo scorso sono rimaste aperte solo due settimane. Al momento per la Campania il piano scuola, che dovrà essere ufficializzato dal governatore De Luca, prevede il 7 gennaio il ritorno in classe delle prime e le seconde elementari, che già frequentavano in presenza prima di Natale, poi dall’11 gennaio la riapertura della primaria, dal 18 gennaio tutte e tre le classi della secondaria di primo grado e dal lunedì 25 le superiori, cioè teoricamente 18 giorni dopo l’inizio stabilito dal governo. Nel frattempo si cercherà di fare partire quello che non è mai partito finora: lo «screening» sanitario per gli studenti.
DA VENEZIA il presidente della regione Veneto Zaia ha detto che l’apertura al 50% delle superiori chiuse da novembre “si potrà fare se ci saranno le condizioni e la valutazione dovrà essere stabilita dal dipartimento prevenzione. Se non ci fossero le condizioni allora sarebbe meglio aspettare un attimo». Zaia sostiene che «le lezioni in presenza rimangono un elemento di rischio perché ci sono assembramenti di persone per molte ore in spazi ristretti». Tesi contestata dagli esperti del Comitato Tecnico-scientifico, dal ministero dell’Istruzione ma che non è possibile confermare perché, al momento, non esiste una rilevazione consolidata.
IN ATTESA di un eventuale restringimento del 50% l’enfasi è tutta sulla riorganizzazione dei trasporti definita territorialmente ai tavoli con i prefetti. Si parla molto meno del monitoraggio e dei test rapidi a scuola, lasciati al momento alle iniziative autonome dei sindaci. In questo quadro andare a scuola sarà un rebus. Gli orari d’ingresso e d’uscita differenziati (8-14/10-16, lezioni il sabato, ore da 45 minuti) sono stati adottati da Abruzzo, Calabria, Campania (tranne la provincia di Benevento), Friuli Venezia Giulia (tranne la provincia di Gorizia), Lazio, Liguria, Lombardia, Puglia, Toscana (tranne la provincia di Lucca). Unico turno d’ingresso per Marche, Piemonte, Sicilia, Umbria, Basilicata, Emilia Romagna, Molise, Sardegna (tranne Cagliari) e Veneto (tranne la provincia Treviso). Decisioni autonome saranno prese a Trento e Bolzano. Per i presidi dell’Anp gli orari differenziati obbligheranno gli studenti, a casa o a scuola, a fare meno compiti, mentre si inizia a discutere sul prolungamento degli orari di lavoro. La ministra Azzolina segnala il «grande sforzo» per pagare il personale Ata in caso di estensione degli orari.
A ROMA e nel Lazio l’intesa tra la regione e l’ufficio scolastico regionale sugli orari di entrata (due fasce orarie 8-10,il 60% degli studenti uscirebbe alle 15,30) sta producendo una valanga di proteste tra i docenti e i dirigenti scolastici che sostengono il non coinvolgimento delle scuole; l’insoddisfacente intervento sui trasporti; numero troppo elevato di alunni all’interno delle scuole; l’assenza di tracciamento veloce dei contagi mediante tamponi rapidi, dichiarato e mai eseguito; la poca chiarezza sull’uso delle mascherine, inizialmente non obbligatorie in «fase statica».
A POCHI giorni dal rientro a scuola a Roma e nel Lazio è questa la situazione descritta dall’appello dei docenti del liceo Tasso pubblicato sul sito de Il Manifesto il 28 dicembre (ilmanifesto.it/lettere). Da quel momento stanno arrivando centinaia di adesioni da molti istituti della Capitale, mentre si sono uniti alla «mozione pubblica» i docenti dei licei Dante Alighieri, Benedetto da Norcia, il liceo Peano di Monterotondo.
«SIA I DOCENTI che gli studenti vogliono rientrare a scuola, ma per rimanervi sino alla fine dell’anno scolastico che ha una sua scansione precisa e definita», «i turni prospettati sono inapplicabili e controproducenti», «l’auspicio è che la tanto sbandierata “centralità della scuola” diventi reale e non solo l’effimero baluardo propagandistico» scrivono i docenti del Tasso.
«NONOSTANTE il meritevole screening dell’Asl Roma 5 per alunni e famiglie- scrivono i docenti del Peano- lo si è reso scarsamente significativo per l’esclusione del personale scolastico».
«NON SI ERA DETTO “la scuola al primo posto”? La scuola è l’”ultima ruota del carro” e queste rigide norme prescrittive, facendosi beffe dell’autonomia scolastica, lo rendono più che evidente» aggiungono i colleghi del Dante. «I veri problemi della scuola sono: spazi, personale e diminuzione del numero degli alunni per classe».
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