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Scuola, la normalizzazione che viene da lontano

Scuola, la normalizzazione che viene da lontano

Il commento Una versione più lunga di questo intervento è pubblicata nell’ebook "Verso una svolta autoritaria? L’Italia e l’Europa tra neoliberismo e restrizione della democrazia" scaricabile gratuitamente sul sito del Forum Disuguaglianze e Diversità e su quello di Volere La Luna

Pubblicato circa un mese faEdizione del 28 agosto 2024

Sono anni che una saggistica piuttosto aggressiva si è specializzata nel cantare il de profundis della scuola pubblica (La scuola si è rotta (2001), Di scuola si muore (1998), La disfatta della scuola (2009), La scuola non serve a niente (2014), La scuola bloccata (2022), solo per citare alcuni titoli degli ultimi 20 anni), accompagnata dall’interventismo dei ministri e dei governi che si sono succeduti con i loro interventi a volte strutturali (si pensi alla “Buona scuola” di Renzi), più spesso episodici e frammentari. Niente di nuovo dunque nell’attuale politica del centrodestra: tuttavia il cambiamento che si registra rispetto a qualche decennio fa è soprattutto nel clima e nel contesto.

Il silenzio con cui da qualche anno la scuola dell’autonomia, immersa in un’eterna riforma, accoglie cose che le sottraggono territori di sua esclusiva competenza, dovrebbe stupirci. Oggi la scuola appare sempre più sacrificata a luogo di contenimento del disagio e dei corpi, sempre più orientata a disciplinare piuttosto che a educare e le reazioni sono episodiche e spesso isolate, o vengono talora solo dalla platea degli studenti.

(…) Appare emblematico l’affastellarsi di riforme sulla valutazione, con il sovrapporsi anche qui di due culture, drammaticamente in conflitto tra loro: quella che enfatizza il ruolo del voto (numerico e di condotta) per classificare, premiare e punire, ovvero l’idea di una scuola-tribunale, e quella che viceversa vuole investire sul valore formativo e processuale del momento valutativo, che spesso viene messa alla berlina dai fautori del cosiddetto (finto) merito. Il disegno di legge sulla valutazione del comportamento delle studentesse e degli studenti approvato in senato (il 924-bis), per il quale auspichiamo modifiche, ci costringe a proporre qualche questione di fondo, nel metodo e nel merito.

Riguardo al noto passaggio sulla valutazione della condotta, il disegno si apre con una integrazione alla norma vigente, che comporta che con il 5 in condotta non si è ammessi alla classe successiva. Perché ci sembrava di saperlo già? Forse perché nella scuola italiana il 5 in condotta viene da sempre (storicamente) assegnato in caso di gravissime violazioni comportamentali e queste ultime si correlano, nelle norme vigenti, all’allontanamento dalla comunità scolastica, che è e resta sempre l’extrema ratio in un contesto educativo. Ma già la circolare 3602/2008 del Miur, all’avvento dell’era Gelmini, nell’esplicitare le ragioni delle modifiche apportate allo Statuto degli studenti enfatizzava, come l’attuale compagine di governo, «la funzione educativa della sanzione disciplinare», per rafforzare «la possibilità di recupero dello studente attraverso attività di natura sociale, culturale ed in generale a vantaggio della comunità scolastica».

Quasi le stesse parole, di certo la stessa matrice culturale: la definirei demagogica, e non pedagogica. In altre parole, torna a distanza di 15 anni l’idea che la sanzione del comportamento fino alla bocciatura sia una soluzione per i mali della società e che la scuola sia ospedale per i sani, non per i malati: cosa che sappiamo bene non essere vera, senza investimento sulle comunità. Ma per chiunque si opponga, l’accusa di buonismo è dietro l’angolo. E così, il nuovo testo si ripropone di intervenire in modo centralistico nelle competenze degli organi collegiali: questo sia quando introduce modifiche per la valutazione nella scuola del I ciclo, sia quando, per la secondaria di II grado, ridefinisce i criteri con cui attribuire il punteggio più alto nell’ambito della fascia di attribuzione del credito scolastico correlandolo, in forma di automatismo, con il voto in condotta.

Forse è complicato provare a spiegare a un pubblico generalista quel che bene sanno i docenti quali addetti ai lavori: in una valutazione davvero formativa i voti finali, quelli sulla cui media si assegna la fascia del credito, non dovrebbero nascere dalle medie dei voti alle prestazioni degli studenti, ma sempre da una considerazione per così dire «olistica» del soggetto che apprende. L’enfasi sull’automatismo tra oscillazioni del credito scolastico e il 10 in condotta appare più che altro come un tentativo di condizionamento imposto dall’alto dei criteri di valutazione della comunità scolastica, cosa piuttosto inquietante.

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L’autrice è una dirigente scolastica e militante della scuola pubblica. Una versione più lunga di questo intervento è pubblicata nell’ebook Verso una svolta autoritaria? L’Italia e l’Europa tra neoliberismo e restrizione della democrazia scaricabile da oggi gratuitamente sul sito del Forum Disuguaglianze e Diversità e su quello di Volere La Luna.

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