Scuola

Scuola, la circolare bavaglio del comune di Roma Capitale

Zitti tutti. Qui si lavora, non si fa politica. Vietato parlare con i giornalisti, con i genitori e chiunque càpiti. Nelle scuole comunali è proibito esprimersi: rilasciare qualsivoglia commento, considerazione, […]

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 28 aprile 2015

Zitti tutti. Qui si lavora, non si fa politica. Vietato parlare con i giornalisti, con i genitori e chiunque càpiti. Nelle scuole comunali è proibito esprimersi: rilasciare qualsivoglia commento, considerazione, dichiarazione in pubblico. Pena richiami e sanzioni, o non meglio precisate rappresaglie disciplinari. Lo dispone una recente circolare dell’amministrazione comunale, rivolta al personale d’ogni rango, dirigenti, coordinatori, docenti, supplenti, assistenti, custodi e chiunque abbia a che fare con il servizio scolastico. Siamo a Roma, non a Minsk o a Riyad. E a Roma, di questi tempi, sembra sia meglio tacere.

Non sappiamo se questa circolare sia stata ritirata o sia tuttora vigente, ma solo nelle caserme si zittisce chi protesta, chi brontola o chi semplicemente racconta il suo lavoro. Ma in Campidoglio si ritiene che per arginare il degrado e l’incuria che avvolgono il sistema scolastico, sia meglio censurare piuttosto che risanare. Anzi, privatizzare. La giunta Marino ha infatti deliberato di affidare ai privati la gestione di cinque asili-nido comunali. Cinque nuovissimi istituti di proprietà comunale che verranno assegnati attraverso un bando di gara, pur di non assumere personale precario, che, com’è noto, è dotato del pericolosissimo uso della parola.

Era nei piani della giunta precedente, privatizzare i servizi all’infanzia. Una scelta contrastata dall’attuale maggioranza, allora all’opposizione, che oggi invece la attua con penosa disinvoltura. E’ una mimesi, quella che si sta consumando in città. O non piuttosto un’assimilazione politica? Il centrodestra ha cominciato a privatizzare gli asili-nido e il centrosinistra sta completando l’opera; Alemanno voleva la Formula 1 e Marino vuole le Olimpiadi; il primo ha tentato di vendere le quote dell’Acea e il secondo ci sta riuscendo; il sindaco fratello d’Italia minacciava di sgomberare i teatri e il chirurgo democratico l’ha fatto.

Non stiamo dicendo che i due sindaci siano la stessa cosa, ma che le loro politiche siano spesso analoghe, appare alquanto evidente. Peraltro, li abbiamo visti entrambi bussare alle porte di Palazzo Chigi, entrambi con il cappello in mano a chiedere qualche spicciolo per le disastrate casse comunali.

Tuttavia, Marino si distingue per lo zelo con cui applica quelle politiche liberiste che il governo (qualsiasi governo negli ultimi anni) affida agli enti locali per ridurre allo stremo i margini della tutela sociale. Servizi pubblici più cari e più scadenti, contrazione di sussidi e sostegni, tributi e tariffe tra le più alte d’Italia, svendita del patrimonio e privatizzazioni. E inoltre, riduzione di ogni linea d’investimento, sia nelle politiche sociali che nelle opere pubbliche e tanto meno nelle attività culturali. Non c’è traccia infine di piani di sviluppo, di strategie economiche, di sostegno alle attività produttive o d’incentivo alla ricerca, all’innovazione, alla progettazione. E tutto ciò in città pesa sensibilmente.
Cresce la povertà e non si scorge alcun futuro. Roma è oggi una città avvilita e depressa, rattrappita nelle sue angustie.

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