Scuola, il luogo per camminare insieme
Educazione Il discorso ai maestri cattolici del 5 gennaio di papa Bergoglio è da non sottovalutare. Dalla ripresa di don Milani alla realtà fondata sulla «testa ben fatta»
Educazione Il discorso ai maestri cattolici del 5 gennaio di papa Bergoglio è da non sottovalutare. Dalla ripresa di don Milani alla realtà fondata sulla «testa ben fatta»
Nel discorso ai maestri cattolici del 5 gennaio scorso, papa Francesco ha ripreso le fila della propria dottrina educativa, sempre esposta nella forma comunicativa del dialogo, e al tempo stesso le ha fornito un quadro d’insieme del quale è difficile sottovalutare l’importanza.
Negli ultimi anni Bergoglio ha esplicitato alcuni capisaldi che, pur declinati all’interno della cultura cattolica, recepiscono temi fondamentali del pensiero, non solo pedagogico, contemporaneo, che vale riepilogare.
1. La ricerca del bene come coraggio del sapere e della verità: Sapere aude, diceva Kant; parrhesia e ypomoné, dice Bergoglio. E Foucault non direbbe cosa diversa da ambedue.
2. La comprensione della realtà fondata sulla «testa ben fatta» – «è questo il segreto, imparare ad imparare!» –, seguendo l’affermazione di Montaigne riattualizzata da Morin, che Bergoglio riconduce a don Milani, collocandosi accanto a chi oggi difende e rivendica la lezione di Barbiana – penso alla Lettera sovversiva di Vanessa Roghi, ai curatori del Meridiano don Milani, alla sessione dedicata alla Lettera a una professoressa nel recente Festival di «Impunita».
3. L’apertura alla realtà attraverso la pluralità degli approcci, degli «ingredienti»: «Ecco perché ci sono tante discipline! Perché lo sviluppo è frutto di diversi elementi che agiscono insieme e stimolano l’intelligenza, la coscienza, l’affettivita, il corpo, eccetera». E qui è palese la vicinanza alla teoria delle intelligenze multiple.
4. La scuola non come parcheggio, ma «luogo d’incontro nel cammino»: luogo di alleanze delle persone, di interconnessione dei corpi radunati, per dirla con Judith Butler.
5. Il contesto globale nel quale va collocata l’azione educativa, sovradeterminato oggi dalla riduzione della persona umana a merce, a cosa, dove si punisce lo spreco del mattone, ma non la perdita della vita del muratore. D’altronde, già nel 2005 Bergoglio aveva rigettato la libertà negativa del liberalismo: «Come si può desiderare una società nella quale l’altro è un potenziale nemico fino a quando non mi dimostra che di me non gli interessa?».
6. Infine, l’apertura verso l’altro, quel «visitatore indiscreto che cammina per le nostre città, nei nostri quartieri, viaggiando sui nostri autobus, bussando alle nostre porte». Che disegna la società futura da conquistare, e concepisce il migrante non solo come vittima bisognosa di soccorso, ma anche come colui/colei che viene a turbare, anche nella forma del conflitto, le nostre abitudini per costringerci a una nuova immaginazione sociale, a «sperimentare nuove forme di relazione».
La novità del discorso del 5 gennaio è il riconoscimento della rottura del patto educativo fra scuola, famiglia e Stato: la rottura di un’alleanza che va assunta come problema, rispetto alla quale non ci sono soluzioni già date o naturali.
Ieri la parte più reazionaria del mondo cattolico agitava lo stendardo di una emergenza educativa letta come prodotto della modernità, invocando un ritorno al «patrimonio di valori» della tradizione che in termini pratici si traduceva nell’attacco alla scuola pubblica, per abbassarne il livello e favorire le lobby private della galassia di Comunione e Liberazione. Oggi Bergoglio non propone soluzioni calate dall’alto, ma una nuova progettualità e una nuova, consapevole complicità fra insegnanti e genitori che parte dal basso: a ben vedere, anche da un ripensamento delle relazioni di prossimità e distanza esistenti fra i soggetti (sempre parziali) del mondo della scuola, ai quali è richiesto il superamento di reciproci confini, delimitazioni, linguaggi. Il mantra reazionario «l’insegnante spiega, l’alunno studia, l’alunno ripete, l’insegnante valuta» di Mastrocola non potrebbe essere più lontano.
Pubblicando nel 2010 il mio La scuola è di tutti, ho sottotitolato il titolo-slogan con: Ripensarla, costruirla, difenderla. Nella consapevolezza che senza una rivoluzione della scuola non si rivoluziona la società, ma anche che senza rivoluzionare la società non si salva la scuola. Oggi ritrovo quei tre verbi, quelle tre indicazioni di lotta, nella proposta educativa di papa Francesco: per questo credo che questa sfida e quest’apertura non vadano lasciate cadere.
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