Rubriche

Scuola (e violenza)

In una parola La rubrica settimanale di Alberto Leiss

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 19 maggio 2015

A scuola. Una mattinata con gli studenti e qualche professore dell’istituto professionale «Don Pocognoni» a Matelica, in provincia di Macerata.

Una scuola nuovissima. Che però, essendone figlia, parla dei danni del terremoto del ’97. Poi la giovane insegnante, estroversa e molto impegnata, che ci accompagna, accenna a un secondo terremoto, più recente e forse più devastante: le fabbriche che chiudono ( ultimo il caso Indesit – Whirlpool). «Non ci era mai successo. Avevamo sempre accolto chi veniva a cercare lavoro. Ora manca anche per noi».

Il che vuol dire problemi di disagio molto acuti soprattutto per i figli delle famiglie immigrate, specialmente dai Balcani: povertà e disoccupazione aumentano le crisi, i cattivi sentimenti, la depressione, e anche la violenza. E qui i ragazzi non italiani sono quasi il 25 per cento.

Ragazzi e ragazze, più o meno alla pari, si direbbe a colpo d’occhio nell’auditorium.

Una volta in questa scuola professionale per meccanici, ottici e odontotecnici, c’erano quasi solo maschi. Non è più così. Con me c’è una funzionaria delle Pari Opportunità (presidenza del consiglio) e un’avvocata dei centri anti violenza di Ancona (associazione Dire).

Si proiettano alcuni dei 5 filmati realizzati per una campagna di sensibilizzazione contro la violenza maschile (Five men).

Anziché sui corpi delle vittime l’attenzione delle immagini e del racconto è focalizzata sui personaggi maschili: uomini di diverse generazioni e collocazioni sociali, che arrivano sulla soglia della violenza. Spinti dal desiderio erotico, dalla gelosia, dall’invidia, dall’ossessione del controllo sull’altra. Però si fermano in tempo. Riflettono sui propri sentimenti e comportamenti. Magari anche grazie a qualche frase scambiata tra uomini negli spogliatoi di una partita a calcetto.

Qualcuno commenterà giustamente: nella vita le cose in genere vanno peggio. Ma il meccanismo narrativo aiuta una discussione. Che poi diventerà più esplicita e profonda in gruppi di scambio più ristretti. Eccone qualche eco.

Un ragazzo: «Lo capisci da solo se è il caso di fare sesso o altre cavolate.. Devi usare la testa. La mia ragazza? È lei che mena me, ma violenze mai state». Però succede che «lei dice no, ma intende sì». Un altro: «Sì, sono gelosissimo. Di lei mi fido , ma non mi fido degli altri . Però non impongo niente. Certo lei è mia (applausi)». Funzionaria P.O. : «Nei questionari distribuiti prima quasi tutti giustificano gelosia e possesso…». Ragazzo: «Ma è mia vuol dire che non voglio condividerla con un altro ragazzo». Avvocata Dire: «Conosco un caso di una ragazza il cui fidanzato dalla Sicilia la induceva a non uscire mai di casa per tutti i mesi invernali. Perché lei lo faceva?». Coretti vari: «Lo amava!». «Aveva paura!».

Una ragazza racconta di aver saputo che un’amica di famiglia è stata accoltellata per gelosia dal fidanzato. Per fortuna ora sta bene. Altra ragazza (con consenso delle amiche intorno) : «Certe donne se la cercano. Se mi sta addosso anche se lo amo sono io che non glielo permetto. Devo essere più importante per me stessa». Altra: «Sono fidanzata ma faccio quello che mi pare». Un ragazzo: «Se vedessi mio padre che mena la mamma lo ammazzo…». Un altro: «Troppe famiglie si sfasciano, e così si diventa insicuri… Il femminicidio? Non lo giustifico ma non c’è mai una colpa della donna? L’uomo è animale, perde il controllo».

Un parroco professore di religione: «In questa scuola comandano le donne, e le ragazze sono una spanna avanti. I maschi non sanno farsene ragione, e poi si ribellano».

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