La teoria critica della Scuola di Francoforte compie quest’anno un secolo di storia. Risale a cento anni fa il suo atto di nascita: la fondazione nel 1923 del leggendario Istituto per la ricerca sociale a Francoforte sul Meno. In occasione di questo centenario esce in Italia la raccolta di saggi La Scuola di Francoforte. Storia e attualità (Carocci, pp. 168, euro 19) di Stefano Petrucciani, tra i massimi studiosi europei di questa originalissima corrente di pensiero.

IMPREZIOSITO della prosa nitida ed elegante che caratterizza tutti i lavori dell’autore, il volume offre un affresco della parabola di questa vicenda intellettuale, soffermandosi su alcuni passaggi di particolare rilievo, senza tralasciare nessuna delle generazioni che ne hanno animato la storia. La sua tesi di fondo è che nonostante la teoria critica di matrice francofortese abbia cambiato pelle parecchie volte – sullo sfondo di «uccisioni dei padri», rotture e programmi di ritorno alle origini – essa ha conservato intatto un preciso filo di continuità, che si lascia riconoscere nitidamente se si focalizza l’attenzione sui modi in cui è stato declinato, in forme ogni volta diverse, il binomio ragione e emancipazione.
Il volume prende le mosse dall’analisi delle traiettorie di ricerca di Max Horkheimer negli anni Trenta. Sono i saggi nei quali quello che allora era il leader indiscusso del gruppo si sforza di chiarire il peculiare statuto di una teoria critica che, contro il verdetto weberiano dell’avalutatività scientifica, si propone di fornire un’analisi oggettiva della realtà sociale e delle sue tendenze critiche, ma nello stesso tempo una valutazione normativa delle sue ingiustizie e irrazionalità. Il suo fine non è quello di promuovere interessi di parte, ma mettere la società di fronte allo specchio delle sue potenzialità di ragione irrealizzate, divenendo il fermento di processi di emancipazione dei gruppi oppressi.

A QUESTA PRIMA FASE segue la svolta negativista della teoria critica, consegnata alle pagine di Dialettica dell’illuminismo, scritto a quattro mani da Horkheimer e Adorno nell’esilio californiano, a distanza di sicurezza dall’abisso nazista ma a pochi chilometri dall’industria culturale di Hollywood. La critica è ora finalizzata a mostrare all’«illuminismo» che la sua spinta a conseguire l’emancipazione attraverso il dominio sulla natura ha incatenato la modernità a una nuova eteronomia mitica, nel cui orizzonte reificato la tecno-scienza si è trasformata in pilastro di una società totalmente amministrata, oltre che in strumento puro e semplice di sterminio.
Ma anche in questo testo, per Petrucciani, non è in gioco una mera liquidazione del «movimento del rischiaramento». In questione è piuttosto la «negazione determinata» di una visione amputata di illuminismo, finalizzata a proseguirlo e trasformarlo «nel senso della critica del dominio e della conciliazione degli uomini tra di loro e con la natura».
L’autore dedica poi pagine molto belle all’altro grande esponente della prima generazione, Herbert Marcuse, e al significato che la sua linea di riflessione – così come in realtà dell’intera Scuola – ebbe per il movimento di contestazione del Sessantotto. L’originalità dell’autore di Eros e civiltà è individuata nello stretto legame tra il tema della ragione e quello della vita buona.

L’INTERESSE RAZIONALE all’emancipazione non è solo aspirazione all’autonomia per tutti ma anche realizzazione di una felicità condivisa, «non inquinata dal sapore amaro dell’egoismo e del senso di colpa» né da un edonismo compulsivo socialmente imposto. La ragione affonda le sue radici nell’«impulso dell’energia erotica per impedire la distruzione»: nel «potere di unire e di creare» da cui sgorga ogni civiltà. È con questa griglia interpretativa che Marcuse si accosta ai nuovi movimenti degli anni Sessanta e Settanta nei quali vede prendere forma – anche contro la loro stessa autointerpretazione più tradizionalmente marxista – un tipo di critica sociale al capitalismo che non mette più al centro il tema della distribuzione delle risorse, bensì il radicale ripensamento della grammatica normativa delle forme di vita.
Nel libro ci si sofferma quindi su alcuni temi di particolare interesse nelle generazioni successive: le nozioni di autocritica dell’illuminismo e di democrazia deliberativa in Jürgen Habermas; il recente ripensamento dell’idea di socialismo intrapreso da Axel Honneth; la rivisitazione della critica dell’alienazione da parte degli esponenti di una generazione più giovane, Rahel Jaeggi e Hartmut Rosa. Mediante la rigorosa discussione di questi temi viene ribadito un punto fondamentale.

OGGI COME IERI il progetto di una teoria critica della società si giustifica solo se riesce a dimostrare di essere al servizio di un interesse razionale all’emancipazione da tutte le forme sociali di eteronomia e di privilegio, incluse le forme di servitù interiorizzate dai soggetti. Si tratta certo oggi di ripensare il concetto di ragione rispetto alle prime formulazioni, come per primo ha tentato di fare lo stesso Habermas, operando una de-trascendentalizzazione del concetto e una sua reinterpretazione dialogica e comunicativa. La scommessa della teoria critica rimane in ogni caso quella di mostrare di essere una forma di conoscenza al servizio di un interesse al superamento del dominio che, in quanto è razionale, è generalmente umano e alla portata di tutti, sebbene poteri e ideologie ne ostacolino l’universale riconoscimento.
In questo motivo sta il filo conduttore di una tradizione di pensiero critico sempre plurale, che ha oscillato costantemente tra un’istanza radicale di giustizia e una domanda di vita buona, puntando a riportare alla luce le possibilità storicamente emergenti di una società solidale che tenti l’ardua impresa di costruire sé stessa secondo ragione.