Cultura

Scrittrici della dislocazione, tra modernità e tradizione

RACCONTI PERSIANI «Anche questa è Tehran, credetemi!», una raccolta di racconti persiani a cura di Leila Karami e dita da Schena

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 10 febbraio 2017
Hawar Amini, Senza titolo, (Silk Road Gallery, Téhéran)

È nella forma dell’esortazione il titolo scelto per una recente e luminosa raccolta di 14 racconti di altrettante scrittrici contemporanee persiane. Anche questa è Tehran, credetemi! (Schena editore, pp. 195, euro 15, per le cure di Leila Karami che, insieme a Laura Zaccagno, ha tradotto i testi) si apre come un territorio inesplorato che sonda e tesse le voci delle più insigni tra le scrittrici contemporanee, la maggior parte delle quali mai tradotte in italiano. I racconti, mai approdati qui, sono nella scelta di Karami, di origine iraniana ma residente a Roma da molti anni e studiosa attenta dell’Islam, un’occasione preziosa per conoscere cosa si è mosso nella ricezione e nella contaminazione letteraria tra Iran e Italia.

INTERSEZIONE interessante, oltre che assai utile, per chi si interroghi sull’immaginario della scrittura a Tehran e dintorni, su cosa cioè si possa rappresentare di quella stratificazione di letture, storie e strutture che ha fatto di quella persiana una notevole testimonianza letteraria. Il criterio con cui i racconti sono stati scelti, riferisce Karami, è stato quello di mostrare la grandezza e l’originalità di forme brevi di narrazione che hanno risentito della lettura di scrittrici quali Alba De Céspedes, Grazia Deledda e Natalia Ginzburg.

SU QUESTO PUNTO, di incontro e di confine tra due contesti materiali difficili da far convergere, l’antologia si pone come bandolo di consonanze per temi. Tutte scrittrici contemporanee, si è già detto, che si sono cimentate anche nei romanzi ma che qui seguono il filo della differenza femminile. Non vi è una manifesta adesione al femminismo, è bene saperlo, né era nelle intenzioni della curatrice individuarne il segno, tuttavia a emergere sono pur sempre i risvolti di un posto in cui chi scrive sembra esercitare le proprie pratiche e, in alcuni casi, il proprio protagonismo.
Come sottolinea Biancamaria Scarcia Amoretti nella prefazione, il libro «offre uno spaccato della realtà iraniana, rappresentata dall’odierna metropoli dell’antico paese».

TRA IL 1966 E IL 2007, arrivano in Italia le voci di Mitra Eliyati, Mahshid Amirshahi, Shiva Arastuy, Azardokht Bahrami, Mihan Bahrami, Soheila Beski (di cui due anni fa è stato tradotto per Ponte 33 il romanzo breve Particelle), e ancora Mitra Davar, Bahareh Rahnama e altre.

DALLA FAMIGLIA ai rapporti tra i sessi, dalla rappresentazione del lavoro (compreso quello domestico e di cura) alla capacità visionaria di acquisire gli occhi della fantasia e della propria genealogia, sono i nomi di un ordito cucito finemente che spesso percorre infiniti o tristi giardini. Dalla visitazione di ciò che esplicita un chador alla convivialità erotica.

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