Per chi si affacciava adolescente liceale agli anni ottanta, tra l’incomprensibile coda d’odio del decennio precedente che aveva prodotto oltre alla perdita dell’innocenza con l’assassinio di Aldo Moro riforme di incalcolabile valore sul piano dei diritti civili culminati con la Legge 180 Basaglia, la figura di Pier Vittorio Tondelli rappresentò in un certo senso un antidoto a tutto: dalla politica alla musica, dalla famiglia alla scuola, dalla piazza di provincia alla grande città fino al desiderio di viaggiare e conoscere le metropoli europee. Ma per chi ha poco più di trent’anni oggi e non era, dunque, ancora nato quando nel 1991 Tondelli «era volato via» (tanto per usare le parole che scelse nel ricordare l’amico Paz) in quel di Correggio, un piano sopra il febbricitante Luciano Ligabue come ricorda l’altro genius loci della cittadina reggiana, cosa può ancora dire?

Quest’interrogativo ha mosso la ricerca del regista cinematografico e teatrale Andrea Adriatico che, con l’aiuto di Stefano Casi, suo collaboratore di sempre a Teatri di Vita, e Grazia Varesani, ha scritto e realizzato il docufilm La solitudine è questa, ulteriore pannello che arricchisce la sua filmografia su persone e artisti la cui biografia esistenziale e artistica s’intreccia con quella del Paese. L’ultimo dei quali è Gli anni amari dedicato all’attivista e teorico del movimento gay italiano, Mario Mieli.

Il film, dopo una lunga gestazione, fermato e concluso nelle riprese durante la seconda e terza ondata del Covid, avrà la sua anteprima alla Festa del Cinema di Roma il prossimo Lunedì 23 ottobre per poi essere distribuito nei cinema. Ritornando alla domanda di cosa può dire oggi Tondelli a dei trentenni che non hanno vissuto i suoi anni, Adriatico ha scelto una via complessa che all’apparenza può apparire una scorciatoia, ma che a risultato ottenuto evidenzia come l’aver chiamato a raccolta alcuni scrittori della nuova generazione, nata negli anni ’90 del secolo scorso, abbia giovato al film.

Il dare parola a sette scrittori si è dimostrata la scelta giusta per poter entrare nell’opera di Tondelli, attualizzarla al sentire contemporaneo. Soprattutto evitando l’elogio degli anni ottanta. Eppure, bisogna dire che un ritorno a quel decennio è già in atto, non più carsico, ma venuto fuori in modo dirompente, per lo più su media generalisti e in alcune opere – omaggio come è stato il recente caso di Raffa in the Sky, emblema di un modo di ascoltare i sussulti di una società che vedeva proprio gli anni ottanta come imbuto del tempo trascorso e miraggio di divertimento. Purtroppo, i fatti hanno smentito anche lo sfrenato edonismo di quegli anni (e c’era chi vi accoppiava sostantivandolo il nome di un presidente americano), che furono solo una parte del tutto, contenente anche i germi di quel neoliberismo economico che sta sfasciando interi paesi. Con ciò: il centro del film, geograficamente centrato anche sulle città di Tondelli, presenza costante nei suoi romanzi e nell’intera opera, ha generato un loop emotivo e al medesimo tempo ha scoperto un nervo troppo a lungo tenuto fermo anche negli scrittori d’oggi: a chi appartiene la vita di un artista? Qui la risposta presume una conoscenza che va al di là della mera esposizione cinematografica.

La cornice visiva non può bastare come nemmeno lo scorniciare il racconto plurimo che Adriatico monta nell’intervallare, nell’interpretazione di Lorenzo Balducci e Tobia De Angelis, le parole di Tondelli a quelli dei suoi postumi» interlocutori come giustamente nota Claudia Durastanti, tra gli autori chiamati dal regista. Peraltro di «stanza» nel film a Firenze per parlare del «romanzo critico o contenitore» Un weekend postmoderno (per chi scrive il capolavoro dello scrittore emiliano). Tutti, chi più chi meno, e vale la pena elencarli, Viola Di Grado (a L’Aquila per Altri Libertini), Alcide Pierantozzi (a Orvieto e Roma per Pao Pao), Alessio Forgione (a Rimini per Rimini), Paolo Di Paolo (a Milano per Dinner Party), Angela Bubba (a Correggio per Biglietti per gli amici) e Jonathan Bazzi (a Berlino per Camere separate), hanno raccontato con passo del gambero «quel senso di stare al mondo in quel tempo che si chiama giovinezza». Nel far questo hanno evitato l’effetto «extra dvd» del film, somigliando molto di più a un making of a posteriori dei romanzi in cui è ferocemente sentimentale e confidenziale l’affinità di costoro con le poetiche tondelliane che a film concluso appaiono «nostre contemporanee».