Scoppia la coppia gialloverde. Possibile accordo, ma fragile
Condono «Non passo per scemo». «Non sono un bugiardo». Salvini e Di Maio ai ferri corti dopo il 'caso manina'. Oggi consiglio dei ministri per l’intesa. Il governo va alla sfida con la Ue nel caos. Moscovici apre uno spiraglio, ma i tempi sono stretti
Condono «Non passo per scemo». «Non sono un bugiardo». Salvini e Di Maio ai ferri corti dopo il 'caso manina'. Oggi consiglio dei ministri per l’intesa. Il governo va alla sfida con la Ue nel caos. Moscovici apre uno spiraglio, ma i tempi sono stretti
«Del condono non mi frega niente ma non mi si faccia passare per scemo!». «Il governo non cadrà ma non voglio passare per bugiardo o distratto». Pare assurdo e lo è, ma nel momento più difficile, col rischio di uno scontro frontale di portata inaudita con la Ue, i leader della maggioranza sono impegnati a scambiarsi battutacce in schietto stile Totò e Peppino. Alla fine, ieri sera, Matteo Salvini, Giancarlo Giorgetti e Luigi Di Maio si sono incontrati per cercare di dipanare la matassa in vista del consiglio dei ministri convocato per oggi pomeriggio.
SI PARLA OVVIAMENTE della norma della discordia, quella sul condono fiscale, e il non-scemo è Salvini: «Conte leggeva, Di Maio scriveva». Insomma tutti sapevano tutto. Il non-bugiardo invece è lo scrivano in questione: «Mica si elencavano i provvedimenti: Conte enunciava i princìpi generali». Palazzo Chigi dà ragione al pentastellato: l’accordo era stato raggiunto un attimo prima del consiglio dei ministri, dunque il testo non era pronto. La rissa si allarga agli emendamenti dei 5S sul decreto sicurezza. «Ne avete presentati 81: come un partito d’opposizione», s’inalbera il leghista. «Ma tu stavi in Trentino a fare campagna elettorale», replica piccato il pentastellato. Tra una frecciata e l’altra spunta il fantasma della crisi di governo e, per quanto esiguo, un rischio di sfascio c’è. A definire il contenzioso dovrà essere il consiglio dei ministri di oggi, e con governanti simili non si può mai dire anche se Conte, che da avvocato in queste cose si muove con meno imperizia degli altri, farà il possibile per sanare la ferita.
LA BOZZA DI ACCORDO prevede l’esclusione dello scudo fiscale e della depenalizzazione per riciclaggio e autoriciclaggio: però allargare il perimetro della non depenalizzazione significherebbe vanificare la «pace fiscale» perché chi mai ammetterebbe l’evasione sapendo di finire poi sotto processo? In cambio la Lega chiede la cancellazione del condono edilizio per Ischia, la cancellazione della norma sulla Rc auto che comporterebbe riduzione del costo delle assicurazioni al sud e rincari al nord, e naturalmente il semaforo verde per la legittima difesa, ostacolata al Senato dai pentastellati.
Ogni calcolo razionale dice che l’accordo oggi sarà trovato, anche perché nel frattempo sarà stato dribblato uno dei principali ostacoli, il raduno dei 5 Stelle a Roma, al Circo Massimo, che spiega in parte l’intemerata di un Di Maio spaventato dai possibili fischi del suo popolo deluso. Ma nel clima surreale che si è creato dopo la sceneggiata televisiva del leader dei 5S, debitamente stigmatizzata dal socio leghista («Si può cambiare tutto se uno cambia idea, basta dirlo: ma al telefono»), tutto può succedere. Il punto dolente sono ovviamente i confini della depenalizzazione, cioè del condono, e non è stato ancora definito con chiarezza.
QUESTO GOVERNO DIVISO come mai era successo prima, ferito da una lacerazione che comunque non verrà sanata neppure dall’eventuale accordo sul condono, è quello che dovrebbe reggere l’offensiva europea. Ieri, per la verità, qualche spiraglio Moscovici, il commissario-ambasciatore, lo ha aperto, al termine dei suoi due giorni romani. Dopo l’incontro con il governatore di Bankitalia Visco e quello con il ministro degli Esteri Moavero ha assicurato che «nessuna decisione è già stata presa: sarà molto importante la risposta del ministro Tria» alla lettera della Commissione recapitata dallo stesso Moscovici. Ma soprattutto il commissario francese ha sottolineato che il problema non è il deficit al 2,4% in sé: «La cosa principale non è quella. Sono il deficit strutturale, il debito e la crescita». E’ un passaggio rilevante perché slittare dall’asticella del deficit, sulla quale sarebbe impossibile una mediazione, a una gamma più vasta di problemi può aprire la strada a una trattativa in extremis, sullo spostamento di una parte dei fondi per gli investimenti oppure sulla definizione di garanzie di revisione ove i risultati sperati non fossero raggiunti l’anno prossimo.
DI CERTO HA SPINTO in questo senso, nella cena di giovedì, Mattarella. Il presidente cerca da un lato di convincere il governo italiano ad aprire una trattativa, prima di tutto rinunciando ai toni di aperta sfida, ma dall’altro insiste con l’Europa perché non si attesti su una linea rigida. Qualche risultato sembra averlo ottenuto ma i tempi sono stretti. Oggi il cdm deciderà come rispondere. Martedì la commissione esaminerà la replica italiana. Se non si saranno aperti spiragli il verdetto negativo arriverà subito dopo.
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