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Scontro sulla Libia. È la linea di Minniti ma il Pd non la vota più

Scontro sulla Libia. È la linea di Minniti ma il Pd non la vota più

Motovendette Sì al regalo di 12 motovedette alla marina di Serraj. Lega e M5S: «C’è discontinuità con il governo Gentiloni». Ostruzionismo dem. Bagarre in aula, le contraddizioni fra verdi e gialli oscurano il fatto che al senato il partito di Renzi ha detto sì. Magi (+Europa): la Libia non ha firmato la Convenzione di Ginevra; è un paese senza diritti anche per i libici e in cui avvengono, afferma l’Onu, ’orrori inimmaginabili’

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 7 agosto 2018

Ma la cessione di dodici motovedette – dieci della Guardia costiera e due della Finanza – alla Guardia costiera libica in ottemperanza al Memorandum firmato nel 2017 fra l’allora premier italiano Gentiloni e quello libico Sarraj è in «continuità» con le scelte del governo dem, e quindi il governo legastellato oggi sostiene a spada tratta un provvedimento del Pd?, oppure è una scelta in «discontinuità» con i governi precedenti «perché è cambiato tutto il contesto» (Piero Fassino) e quindi il Pd ha ragione a non votarlo, pur – attenzione – avendolo già votato convintamente al senato?

SUL FILO DELLA SURREALTÀ ieri per tutto il giorno è andato in scena alla camera il duello fra M5S e Lega da una parte e Pd dall’altra, che ha inchiodato l’aula sul decreto delle motovedette fino a sera. Il sì, scontato, è arrivato solo dopo ore di ostruzionismo da parte di tutto il gruppo dem. Un ostruzionismo scatenato nel primo pomeriggio da una dichiarazione di voto urticante quanto ingenua letta da Sabrina De Carlo, capogruppo M5S in commissione esteri, che attacca ad alzo zero il Pd sulla qualunque: «Un partito ridotto in pezzi, stessa fine che avrebbero fatto fare all’Italia se avessero continuato a governare», e poi «Buzzi», «mafia capitale», «hanno svenduto l’Italia». «Una provocazione», replica Lia Quartapelle (Pd) tanto più che la grillina però si era ben guardata dal rispondere alla domanda che a più riprese il Pd rivolge alla maggioranza, in evidente difficoltà fra la linea soft dei grillini e quella hard dei leghisti: insomma il decreto all’esame è figlio delle politiche del governo dem o no? «Se c’è continuità, c’è anche costituzionalità», spiega con pazienza Stefano Ceccanti.

LA MAGGIORANZA INCESPICA, urla ma balbetta, non riesce neanche a inchiodare il Pd alla sua contraddizione: i senatori dem, guidati dal renziano Marcucci, poco più di una settimana fa hanno votato sì. Alla camera invece il presidente dem Orfini ha fatto cambiare idea ai colleghi: «Non possiamo dire sì a un provvedimento in cui i diritti umani non sono neanche nominati, è contro la storia del centrosinistra». Un ravvedimento parziale, che suona però anche come una mezza sconfessione dell’ex ministro Minniti.
L’OSTRUZIONISMO VIENE ritirato solo quando i 5 stelle sventolano bandiera bianca e si rimangiano l’intervento della deputata De Carlo. Il decreto passa con una valanga di sì, 11 no (Leu e +Europa), il Pd non partecipa al voto.

PRIMA PERÒ SUCCEDE DI TUTTO. Si accendono risse verbali. Sconfinano. Quando il deputato Migliore (Pd) accusa il ministro Salvini di aver umiliato la Guardia Costiera italiana per averle sottratto il coordinamento delle operazioni in mare a favore dei libici, il relatore leghista Zoffili la prende sul piano personale e a parole e gesti invita il collega a un confronto maschio. Poi chiama una deputata «signora», scatenando le ironie delle dem. Neanche il «fratello d’Italia» Rampelli, ex missino romano e nuotatore, uno che di confronti ruvidi ha un certo know how, riesce a trattenere le intemperanze dei gasati giovanottoni ex padani. I suoi «fratelli» di partito chiedono che il governo accetti di introdurre nel testo la possibilità di effettuare il «blocco navale» contro i gommoni. Un atto di guerra. Piace alla Lega, ma è troppo anche per i 5 stelle, non passa. La deputata Morani sfida a parlare grillini in dissenso e segnala la curiosa assenza del presidente Fico. Non è in aula, «impegni precedenti». Sul fronte dell’opposizione manca invece Laura Boldrini, anche lei «impegni precedenti».

INTANTO I DISALLINEAMENTI fra le due linee di governo, quella gialla e quella verde, producono scenette gustose. Mentre il sottosegretario grillino Di Stefano spiega conciliante che «le Ong sbagliano a fin di bene», al suo fianco il collega verde Molteni scuote vigorosamente il capo: è scettico. Poi è proprio Molteni a ammettere che «c’è un percorso comune con Minniti». A questo punto prende la parola l’ex ministro . Vuole dare la sua versione, fatica a stare nei tempi, rivendica – più rivolto ai suoi che alla maggioranza – di aver portato Onu e Unhcr dentro alcuni campi di raccolta libici, «prima era impensabile». Non disconosce il decreto ma dice cos’è cambiato rispetto ai ’suoi’ tempi’: «La nostra Guardia costiera deve tornare ad occuparsi del Mediterraneo centrale», trasformata nella frontiera della morte. Fra maggioranza e opposizione è guerra sulla contabilità del lutto.

IL DECRETO È «INEMENDABILE» per Liberi e uguali. «Non possiamo fare finta di non sapere cosa accade in Libia e cosa subiscono le persone che vengono riportate in quell’inferno», attacca Erasmo Palazzotto. «Stiamo dando strumentI per rafforzare la Guardia costiera di uno stato che non esiste, per riportare persone salvate in mare in un paese non sicuro», dice il radicale Riccardo Magi (+Europa) presentando le pregiudiziali di incostituzionalità al decreto, «La Libia non ha firmato la Convenzione di Ginevra; è un paese senza diritti anche per i libici e in cui avvengono, afferma l’Onu, ’orrori inimmaginabili’», « Queste motovedette saranno utilizzate per mettere in atto respingimenti interposti».

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