Visioni

Scontro da reality nel dramma familiare

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A teatro In scena Dall'alto di una fredda torre, un testo di Filippo Gilo per la regia di Francesco Frangipane

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 31 gennaio 2015

Lo scorso anno Filippo Gili aveva presentato all’Argot Studio Prima di andar via, ritratto di una famiglia come tante, che diviene il ring di una lotta per la crescita e la maturità, in particolare dei suoi componenti più giovani, tra i quali un figlio che vuole suicidarsi. Lo spettacolo ha avuto un notevole successo (è in questi giorni all’Elfo Puccini di Milano, fino a domenica 8 febbraio) tanto che Michele Placido ne ha tratto un film presentato con successo al Torino Film Festival.

Ma nelle scorse settimane, quel discorso si è allargato con un nuovo «episodio» di quella indagine familiare ed esistenziale, che ha debuttato sempre all’Argot, sempre con il testo di Gili e la regia di Francesco Frangipane, titolo Dall’alto di una fredda torre. E ancora una volta il pubblico è seduto, lungo le pareti del teatro, attorno alla tavola da pranzo, quasi ne facesse parte, di una famiglia «normale», madre e padre (Michela Martini e Ermanno De Biagi, molto bravi), una figlia e un figlio. Fanno un gioco «stupido» come è «chi butteresti dalla torre?», ma tra le portate che vanno e vengono dal carrello alla tavola, quell’interrogativo diviene gioco dilaniante della realtà. I due genitori, senza saperlo, hanno contratto infatti entrambi una malattia degenerativa, che li destina alla morte.

I figli possono offrire un trapianto salvifico di cellule, ma dovranno scegliere chi dei due «salvare» e chi gettare via dalla torre della vita. La prima parte del racconto, con quelle dinamiche che portano allo scontro violento tra i buoni sentimenti quotidiani e le conquiste e i limiti della scienza, ha un fascino forte.

Poi l’atmosfera si raffredda in una sorta di dibattito di posizioni: il dolore e l’affetto dei figli contro la pedante «concretezza» della medichessa che vuole una scelta definitiva e manichea sulla persona da salvare. Il tono finisce per evocare tanti oziosi (e spesso pelosi) conflitti da reality televisivo. Anche se resta forte, fino alla fine, l’empito di affetto che quella famiglia, con i suoi scontri rituali, ha saputo dall’inizio suscitare attorno a quella tavola.

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