Scontri al porto di Trieste, scene da guerriglia urbana
No green pass In migliaia al sit-in di piazza Unità d’Italia. Un gruppo tenta di bloccare il varco 4, la polizia li sgombera con lacrimogeni e idranti. A sera sulla banchina sventola il tricolore, ci sono anche Casa Pound e Forza Nuova
No green pass In migliaia al sit-in di piazza Unità d’Italia. Un gruppo tenta di bloccare il varco 4, la polizia li sgombera con lacrimogeni e idranti. A sera sulla banchina sventola il tricolore, ci sono anche Casa Pound e Forza Nuova
Il porto è tutto libero, fine del presidio, tutto sgomberato se pur con idranti e lacrimogeni. E invece no perché, dopo una mattina difficilissima, a sera si riaccendono cento micce e una massa di duemila persone resta in piazza in una situazione come sospesa. Gruppetti di dimostranti continuano a raggiungere i varchi del porto per tentare di bloccarli. Compaiono improvvisamente gruppi di giovani con il passamontagna calato sul volto, un fitto lancio di bottiglie contro la polizia in assetto antisommossa, un avanzare e ritirarsi da guerriglia urbana lungo il viale che costeggia una parte del porto, in mezzo ai condomini che vi si affacciano. La continuazione davvero inaspettata di una giornata assurda, cattiva, che sembrava doversi risolvere con il grande sit-in nella piazza principale di Trieste e invece riemerge con troppi che cercano, con tutta evidenza, un nuovo scontro.
In maggioranza non sono triestini, il dato è subito visibile qui così come in piazza e davanti al porto.
Al di là delle polemiche che questi giorni, e questo epilogo così duro, si porteranno dietro, è utile mettere a fuoco il luogo che ha fatto da palcoscenico a tanta cronaca: il porto, proprio lì dove un gruppo di lavoratori ha deciso di organizzare la propria lotta anti green pass. Forse è stato questo il loro errore fatale e non dirlo toglierebbe un elemento decisivo per comprendere la reazione, ostile, della città e lo stesso comportamento ondivago del Coordinamento dei lavoratori.
LE PRIME DICHIARAZIONI del Clpt sono state intransigenti e particolarmente bellicose: da venerdì si blocca tutto a oltranza e poco importa se il presidente Zeno D’Agostino minaccia di andarsene. Subito, la Commissione di garanzia ha dichiarato illegittimo lo sciopero e ricordato che il presidio si sarebbe configurato come interruzione di pubblico servizio. Alla sera c’è un primo allentamento: nessun blocco degli ingressi, solo un presidio che non intende impedire l’ingresso a chi voglia lavorare. È stata, però, una chiamata alle armi rimbalzata già in tutto il Paese e infatti cominciano ad affluire in città molti gruppi, e singoli, soprattutto dal nord d’Italia.
Venerdì mattina il blocco del porto non c’è, si lavora anche se a rilento ma è tanta la folla che porta solidarietà al Coordinamento e si ferma davanti ai cancelli. Sembra, per un giorno, che sia solo una grande festa: grigliate, birra, cori, musica. Si inseriscono tutti: dalla galassia antagonista e libertaria a Casa Pound e Forza Nuova. Quel che è certo è che Trieste ha catalizzato la protesta, sul Coordinamento dei portuali tutti i fari sono accesi. Alle 20.30 di venerdì il Clpt stampa un comunicato che dichiara la fine della mobilitazione perché si è ottenuta una audizione intercategoriale in Senato e, quindi, «abbiamo vinto». L’assemblea del Coordinamento è però caldissima, non passano due ore che arriva un nuovo dietro-front: il portavoce Stefano Puzzer si scusa con tutti, riscrive il comunicato, la lotta continua fino al 20 ottobre. La mattina dopo comunica su Facebook di essersi dimesso dal Clpt. Confusione.
L’AUTORITÀ PORTUALE dichiara che l’attività del porto si è svolta comunque regolarmente, che ci sono stati alcuni rallentamenti in qualche modo previsti anche se il prezzo che paga un porto per un calo di lavoro, fosse anche di poche ore, è inimmaginabile. E, quel che preoccupa di più, è la credibilità del porto di Trieste e la sfiducia che può ingenerarsi, nei dubbi che già esprimono ungheresi e tedeschi, nei camion turchi che preferiscono risalire i Balcani via terra piuttosto che imbarcarsi per Trieste. Comunque D’Agostino, forte del verificato appoggio della maggioranza dei lavoratori del porto, appare sereno, le dimissioni restano sul tavolo non firmate. I lavoratori del porto devono molto al presidente che, in sette anni, ha ribaltato una situazione di precarietà e di cooperative fallite, di contenziosi a non finire, di far west: stabilizza tutti. Il porto comincia a lavorare con un ritmo eccezionale, assunzioni a centinaia, accordi che portano lavoro e nuovi traffici, e Trieste diventa in pochi anni il primo porto italiano verso il nord e l’est Europa.
Quella che aumenta, da venerdì, è la pressione ai cancelli: veneti, friulani, ma anche dal resto del Paese, no pass e soprattutto no vax arrivano a frotte, il Coordinamento tenta anche di mantenere l’ordine ma la situazione è sempre più difficile, i no vax e un composito ribellismo si sono presi la piazza. Arrivano Enrico Montesano, Paragone e l’ex generale Pappalardo.
D’AGOSTINO È FURIOSO: «Si sta facendo un danno enorme alla città e all’Italia, la gente che è davanti al porto non sa nulla di questo o se ne frega. Basta! Questo circo deve finire». Si riunisce il Comitato per l’ordine e la sicurezza, il prefetto si accorda con il questore, ormai la prospettiva sembra chiara a tutti. Forse nessuno si aspetta uno sgombero in un lunedì elettorale ma non si è stupito nel vedere i blindati della polizia al varco 4. Tre ore, avanti di pochi metri alla volta per allontanare la folla, una cinquantina di portuali con i gilet gialli inginocchiati, i manifestanti fanno blocco, grida, gente seduta, mani alzate, la polizia avanza piano ma usa i cannoni ad acqua. Alle 11 volano sassi e lattine di birra, la polizia carica i lacrimogeni e c’è il caos. Un lacrimogeno entra in una scuola che è seggio elettorale. Il fuggi fuggi si ricompone e qualche migliaio di persone raggiunge la piazza principale della città per un affollato sit-in che pare destinato a sgonfiarsi su se stesso anche se la tensione è palpabile e i giornalisti presenti vengono allontanati a brutto muso. Meloni e Salvini, da tutte le reti televisive, gridano contro le «forze della repressione» e la ministra dell’Interno che fa sparare lacrimogeni contro una folla inerme e pacifica.
CON IL BUIO DELLA SERA, la città si scopre percorsa da gruppi incontrollati e da forze dell’ordine che cercano di arginarli ma si vedono i danni alle macchine parcheggiate, a qualche vetrina, si sentono i botti di questo interminabile scontro tra bombe carta fumogeni cassonetti rovesciati e lacrimogeni. E in tanti riprendono la strada per il molo VII, quel varco 4 che vogliono ribloccare: sventola un tricolore, qualche faccia si conosce, davanti al porto alla sera ci sono Casa Pound e Forza Nuova. Difronte, restano polizia e carabinieri con i lacrimogeni innestati.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento