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Scocca la freccia di «Sylvia» fra ensemble e passi a due

Scocca la freccia di «Sylvia» fra ensemble e passi a dueMartina Arduino e Claudio Coviello – foto Brescia & Amisano/La Scala

A teatro La stagione della Scala si apre con un balletto che rimanda all’Aminta di Tasso resa attuale dalla coreografia svettante di Manuel Legris. Tre atti mozzafiato con i primi ballerini Martina Arduino e Claudio Coviello

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 21 dicembre 2019

Si può rendere attuale un balletto classico dal tema mitologico, che rimanda alla favola pastorale Aminta, scritta da Torquato Tasso nel 1573? La risposta è sì e a darla è il titolo inaugurale della stagione di balletto 2019-2020 del Teatro alla Scala, Sylvia, musica dal brio sinfonico di Léo Delibes, diretta magistralmente da Kevin Rhodes, coreografia svettante del francese Manuel Legris, attualmente direttore dello Staatsballett di Vienna, onirici scene e costumi di Luisa Spinatelli. Una formidabile summa della scuola classico-accademica, danzata dal Corpo di Ballo della Scala diretto da Frédéric Olivieri con un dinamismo delle linee che colpisce per freschezza e sintonia con le caratteristiche dei danzatori di oggi. Due prime, quella per gli U30 una settimana fa, e l’apertura ufficiale di martedì scorso, repliche fino al 14 gennaio, tre i cast.
Il balletto fu coreografato da Louis Mérante, maître di origini italiane, con il titolo Sylvia ou le Nimphe de Diane nel 1876 per l’Opéra di Parigi, interprete l’italiana Rita Sangalli. A vincere sulla coreografia fu allora la musica di Léo Delibes, di cui Ciajkovskij disse: «Se avessi conosciuto questa musica solamente poco prima, certamente non avrei scritto Il lago dei cigni».

IL BALLETTO è rinato molte volte in Francia, alla Scala è quasi sconosciuto, allestito a fino Ottocento da Giorgio Saracco per Carlotta Brianza, la prima Aurora de la Bella addormentata di Petipa-Ciaikovskij.

CON LEGRIS è una scoperta: tre atti, un susseguirsi mozzafiato di variazioni solistiche, passi a due, ensemble vorticosi per difficoltà di linguaggio, precisi nel disegno nello spazio. Per la doppia inaugurazione Legris ha voluto i primi ballerini Martina Arduino e Claudio Coviello. E che scelta. Entrambi hanno la capacità di rendere naturale la più impervia variazione accademica, complice la musicalità del movimento, l’autenticità interpretativa, la sintonia della partnership. Sylvia/Martina apre con arco e frecce, focosa, veloce: è la ninfa cacciatrice di Diana (l’ottima Maria Celeste Losa), incurante degli uomini e dell’amore. Potente il suo arrivo in scena con le altre ninfe armate anch’esse di arco e frecce sull’eroico motivo orchestrale sottolineato dai corni. Aminta/Coviello è il pastore innamorato, la sua prima variazione è un florilegio di sensibilità per flauto solo e due clarinetti.

INVAGHITO con tutto il cuore di Sylvia, è ferito da una sua freccia, lo salva dalla morte Eros, un elegante Nicola Del Freo, deus ex machina che ha colpito a sua volta Sylvia trasformandola in donna innamorata. Christian Fagetti, solista di spiccato graffio, è l’agguerrito Orione, l’altra faccia del desiderio, il cattivo che vuole Sylvia e la rapisce portandola nella sua grotta tra salti, manèges, lifts. Sylvia intanto si trasforma un’altra volta: in linea con la musica e le danze del secondo atto delle schiave nubiane, balla con preziosi accenti esotici e stordisce Orione.
Eros la salva mentre il balletto corre verso il terzo atto, davanti al tempio di Diana. Una festa bacchica, piena di luce: il pizzicato di Sylvia è un ricamo coreografico, il pas d’andante per Sylvia e Aminta è un gioiello di difficoltà, ballato con radiosa partecipazione, e così via, tra tanti insiemi, perché Sylvia è super anche per il Corpo di Ballo. Chiusura con Diana che uccide Orione e permette a Sylvia di deporre arco e frecce per Aminta. Eros è il divino risolutore, ricordando a Diana che anche lei fu innamorata di un pastore, Endimione (Gabriele Corrado). Oggi alle 14.30 replica con Nicoletta Manni e Marco Agostino, protagonisti anche la notte del 31.

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