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«Scissione decisa da tempo». Renzi prepara gli slogan, ma teme D’Alema

«Scissione decisa da tempo». Renzi  prepara gli slogan, ma teme D’AlemaMatteo Renzi prima della direzione Pd di lunedì scorso – LaPresse

Nazareno L’ex premier dà appuntamento ai sostenitori della sua mozione dal 10 al 12 marzo al Lingotto: «Il verbo del congresso non è andatevene, ma venite»

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 16 febbraio 2017

Dividere il fronte, appena si rivelerà possibile. Mettere in sicurezza il simbolo Pd affidandolo al tesoriere Francesco Bonifazi, guardia d’onore renziana doc, un fedelissimo. Ma soprattutto suonare la grancassa col massimo fragore ripetendo all’infinito un solo motivo: «Volevano la scissione sin dall’inizio. Gli abbiamo offerto tutto ma hanno paura del congresso». La croce della scissione, che a sinistra è sempre stata considerata la più pesante anche se nei fatti nessuno si è mai esercitato tanto nell’arte di dividersi, deve ricadere sulle spalle di chi leva le tende.

La decisione di annunciare le dimissioni da segretario lasciando a Orfini il compito di reggere il partito deve dimostrare che il segretario la buona volontà ce l’ha messa tutta: «Volevano un segnale? Ho lasciato la segreteria». Nella e-news settimanale Matteo Renzi, dando già appuntamento ai suoi sostenitori al Lingotto di Torino dal 10 al 12 marzo, suona quella musica dalla prima all’ultima riga, trovando toni quasi evangelici: «Il verbo del Congresso non è andatevene ma venite. Una scissione sulla data del congresso sarebbe incomprensibile. Inspiegabile far parte di un partito che si chiama democratico e aver paura della democrazia».
Per lo stesso motivo Renzi, pur essendo poco convinto, ha dato mano libera ai mediatori, Franceschini, Delrio e Orlando. Lasciandogli però limitata possibilità di movimento: «Si può rinviare il congresso ma senza andare oltre il 7. Se non si tratterà del 7 aprile allora dovrà essere il 7 maggio». Il segretario sa che quel mese in più non fa la differenza e non potrà essere accolto dalla minoranza, che infatti lo ha già rifiutato. Serve tuttavia a costruire la narrazione che Renzi sta preparando: quella secondo cui la scissione non poteva essere evitata perché decisa a priori. E forse serve anche a dividere un fronte scissionista che non è affatto granitico. Tanto che proprio ieri Michele Emiliano ha chiesto al vicesegretario Guerini quel rinvio del congresso fino a maggio che per i bersaniani non sarebbe affatto sufficiente.

Allo stesso modo sono destinate a cadere nel vuoto le proposte di merito. Sarà un congresso nel quale «la contendibilità della leadership sarà reale. Mica gazebarie!», sottolineano i tre ministri che si sono incaricati di esperire gli ultimi spazi di mediazione praticabile. Altri due pontieri, il ministro Martina e Piero Fassino, indicano anche la via per garantire che il congresso affronti seriamente i contenuti, l’identità del partito, la riflessione mancata sulla sconfitta referendaria. «Proponiamo che la Convenzione nazionale divenga pienamente Convenzione programmatica», hanno scritto in un documento accolto con entusiasmo dal guardasigilli Andrea Orlando. Ma proprio sulla candidatura Orlando, forse l’unico passo che potrebbe provare a evitare il divorzio con qualche probabilità di successo, la posizione di Renzi non è chiara. Ufficialmente gli andrebbe bene, come tutto quel che può evitare la catastrofe. In realtà l’idea di una scontro congressuale vero gli sorride pochissimo. Perché la realtà è che Renzi teme la scissione fino a un certo punto. E’ convinto che quasi tutti i nomi dei dirigenti con le valigie pronte attirino voti a decine, non a migliaia o a centinaia di migliaia. Sono solo due i leader che preferirebbe restassero nel Pd: Bersani, che bene o male è sempre l’ex segretario, e Cuperlo, che ha una sua presenza e una sua rilevanza, ma che non sembra avere alcuna intenzione di abbandonare il Pd qualunque sia la scelta degli altri.

In termini di voti e consenso, invece, Renzi sa che il pericolo viene da chi non può più in alcun modo essere trattenuto, da Massimo D’Alema. L’ex padreterno dei Ds ha lavorato per mesi, con la dovuta discrezione. Ha stretto o recuperato rapporti nel territorio, dove sono i serbatoi di voti. Ha ripreso relazioni preziose con i potentati locali. La carta che Renzi intende giocare per contrastare quella concretissima minaccia non riguarda la scissione e non viene dall’interno del Pd: è l’alleanza, oggi preziosissima, con Giuliano Pisapia e il suo Campo progressista.

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