Il tempo è scaduto. «Si rischia una macelleria sociale», continuano a ripetere i sindacati dei call center. Perché la bolla dei telefoni ormai è scoppiata da un pezzo. E i telefonisti si trovano in mezzo a una via: le crisi aziendali si moltiplicano, le vertenze si mobilitano. E così in migliaia in tutta Italia hanno risposto allo sciopero generale indetto dai sindacati confederali del comparto comunicazione.

«Adesione massiccia», comunicano Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom. Si tratta di lavoratori impiegati al servizio delle commesse Tim e protestano contro i tagli paventati dal colosso delle Tlc. Una lotta che interessa 5 mila lavoratori nelle città di Livorno, Pomezia, Roma, Matera, Cosenza, Catanzaro, Crotone, Palermo, Cagliari, Olbia. Sono alle dipendenze di aziende quali Abramo Cc, Ennova, Gruppo Distribuzione, Konecta, da anni impegnate nella gestione della clientela di Tim, fisso e mobile, residenziale e business. Piangono i telefoni, si accendono i telefonisti. Per un impiego che vent’anni orsono ritenevano sicuro e che adesso viene spazzato via dalle ciniche leggi di mercato: delocalizzazioni in Albania e in Africa, investimenti sull’intelligenza artificiale e sulle app popolate da bot che facilitano la vita dell’utente ma inesorabilmente tagliano il volume di lavoro.

L’ultimo ed eclatante caso è quello di Abramo Customer Care: l’azienda calabrese, già adesso in amministrazione controllata, ha ricevuto da Tim la comunicazione che verrà dimezzata la mole contrattuale. Si tratta di 493 unità lavorative negli insediamenti di Montalto, Settingiano e Crotone che si trovano in cassa integrazione a zero ore: è il 50% dell’intera forza lavoro dell’azienda, che adesso si trova in un limbo dal quale sarà difficilissimo uscire. Non si tratta di un cambio di azienda, quindi non è possibile usufruire della clausola sociale e ricollocare i lavoratori. Anche per questo è stato proclamato lo sciopero.

A Crotone, sede dello stabilimento ex Datel e Telic di Abramo, si sono ritrovati in 500 ieri mattina sotto la prefettura. Il dito è puntato anche sul governo. Per i sindacati infatti servirebbe un’azione più incisiva dell’esecutivo. Tim annovera tra i suoi azionisti proprio lo stato tramite la Cassa depositi e prestiti. «Il governo, che ha deciso di avallare il piano industriale di Tim, ora deve assumersi le sue responsabilità. Tim deve mettere in gara le commesse gestite», hanno spiegato i delegati sindacali. Che hanno ribadito la contrarietà a «proroghe farlocche altrimenti ad agosto l’azienda non c’è più. Abbiamo chiesto un tavolo al ministero dedicato alla vertenza Abramo: solo così possiamo risolvere la questione. Non possiamo più essere presi in giro».

I sindacati da tempo denunciano il sensibile calo dei volumi con un massiccio ricorso alla cassa. Alla Abramo peraltro su 22 giorni lavorativi solo 7 sono effettivi con un notevole taglio della retribuzione già molto bassa poiché quasi tutti gli operatori sono assunti part time. Il sindacato ritiene che la riduzione dei volumi di lavoro sia una mera scelta finanziaria di Tim, decisa a evitare le richieste di assistenza dei clienti per ridurne i costi scaricando il problema sulle aziende in appalto e sui lavoratori che hanno finora rappresentato la “voce” di Tim. Ecco perché le segreterie nazionali di Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom continuano a sollecitare il governo per intervenire su una vicenda che rischia di generare drammi occupazionali per migliaia di famiglie. In territori dove manca qualsiasi alternativa.