Scioperare in Gran Bretagna? Mission impossible
Dopo il voto Tories scatenati, stretta filo-padronale in vista sui diritti dei lavoratori
Dopo il voto Tories scatenati, stretta filo-padronale in vista sui diritti dei lavoratori
«Divieni ciò che sei», scrisse Friedrich Nietzsche. Ora i Tories, finalmente soli davanti allo specchio, privi della coscienza infelice degli ex alleati Lib-Dem, lo diventano. Liberi, gioiosi, senza freni. David Cameron, appena sedutosi al tavolo del suo nuovo consiglio dei ministri lo aveva detto: «Questo è il governo dalla parte di chi lavora duro». Naturalmente, nel suo doublespeak orwelliano, intendeva dire che questo è un governo duro con chi lavora. E per cominciare, niente di meglio che un buon vecchio attacco frontale al diritto di sciopero nel Paese che ha già le leggi più filo-padronali d’Europa.
Il neoministro del commercio Sajid Javid, figlio di un autista d’autobus pakistano – uno dei due non europei, non bianchi, non middle-class, non educati privatamente o laureati a Oxbridge tra le fila del nuovo governo reimpastato da Cameron e dunque prezioso feticcio elettorale (le donne sono naturalmente ancora poche, attorno al 30%) – sparava la salva antisindacati già minuti dopo aver ricevuto la nomina. Secondo lui – e c’è il sospetto che anche tutti gli industriali e i CEO che finanziano il suo partito si trovino d’accordo – gli scioperi hanno un impatto dirompente sui servizi pubblici, soprattutto sanità, trasporti, vigili del fuoco o istruzione. Ecco perché il governo si farà zelante promotore di un piano che ne complichi ulteriormente l’iter.
Le nuove misure, da introdurre nel prossimo Queen’s Speech, il discorso della monarca che inaugura l’anno parlamentare e che si terrà verso la fine del mese, vanno ben al di là della deterrenza. Prescrivono che nelle votazioni interne che determinano la volontà di entrare in sciopero vada introdotto un innalzamento della soglia minima del 40% di membri eleggibili (quindi tutti gli iscritti, non solo gli eletti: una percentuale enorme) del sindacato, quando secondo la legge attualmente in vigore ne è necessaria un’imprecisata maggioranza. Ci sarà anche bisogno del voto di almeno il 50% della forza lavoro. Inoltre, sarà possibile far lavorare gente da agenzie private per alleviare i disagi recati alla cittadinanza dallo sciopero.
Questo inasprimento piove su una situazione in cui i sindacati devono già dare almeno una settimana di preavviso prima di tenere uno scrutinio sull’azione. Qualora questo abbia successo, in base al Trade Union and Labour Relations (Consolidation) Act del 1992, ci vuole un altro preavviso di una settimana prima che lo sciopero vero e proprio cominci. Questi due passaggi sono inoltre inframmezzati da regole bizantineggianti che fanno sì che gli scioperi possano essere invalidati dall’alta corte anche quando riscuotono un forte consenso fra i lavoratori. Insomma, il tutto renderebbe il diritto di sciopero in Gran Bretagna praticamente quasi impossibile.
I Tories fremevano per imporlo già nella scorsa legislatura, ma il matrimonio di convenienza con i Liberal-democratici rappresentava un frustrante impedimento. Ora l’inaspettato risultato elettorale gli permette di infliggerlo in modo rapido e doloroso. Frances O’Grady, segretario generale del Trade Union Congress (Tuc) ha detto alla Bbc: «Questo non è un governo dalla parte di chi lavora duro, bensì dei peggiori padroni della Gran Bretagna: quelli che vogliono il proprio staff vincolato da contratti a zero ore, paghe da fame e incapace di organizzarsi efficacemente in un sindacato che possa cambiare le cose. Le proposte del governo sugli scrutini sindacali renderanno gli scioperi legali pressoché impossibili. I negoziatori del sindacato si ritroveranno con meno potere di Oliver Twist. Dopo cinque anni di standard di vita in calo, le prospettive di aumenti decenti del salario sono ancora peggiori».
Nel mirino del governo, e provocati da una serie d’innovazioni tecnologiche che renderanno il personale di biglietteria obsoleto, sono soprattutto gli scioperi dei lavoratori del settore tramviario, la Tube in particolare. La Rmt, il loro sindacato già capeggiato dal compianto Bob Crowe, è da sempre quello più combattivo in un panorama di relazioni industriali dove l’offensiva antisindacale è il dato più consistente sin da metà anni Ottanta, i tempi in cui Margaret Thatcher chiamava i minatori del Galles in sciopero «il nemico interno». Dopo quel durissimo braccio di ferro, che ha visto intere comunità del Nord del paese deindustrializzarsi a forza e perdere l’occupazione per generazioni, lo sciopero in Gran Bretagna è diventato una pratica regolarmente stigmatizzata. Per questo la Rmt ha reagito poche ore dopo l’annuncio di Javid, votando in massa per uno sciopero sul trattamento salariale indetto dai lavoratori ferrotranviari della Network Rail, l’impresa privata che mantiene le infrastrutture ferroviarie del Paese. Il primo da vent’anni a questa parte, e in data ancora da destinarsi.
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