Sciarroni e il faticoso «esercizio» della risata
A teatro Alla Biennale Danza diretta da Marie Chouinard, il coreografo appena insignito del Leone d'oro ha presentato la sua ultima creazione «Augusto»
A teatro Alla Biennale Danza diretta da Marie Chouinard, il coreografo appena insignito del Leone d'oro ha presentato la sua ultima creazione «Augusto»
C’era molta attesa quest’anno al 13° Festival Internazionale di Danza Contemporanea della Biennale di Venezia diretto da Marie Chouinard intorno al Leone d’Oro alla carriera, Alessandro Sciarroni. Italiano, già ospitato a Venezia due anni fa, Sciarroni ha presentato al Festival 2019, oltre al suo primo, ancor oggi esemplare, duo Your Girl con Chiara Bersani e Matteo Ramponi, la sua più recente creazione: Augusto. Lo spettacolo gioca, come è tipico di Sciarroni, sulla ripetizione, lo sfinimento fisico e mentale legato alla resistenza, complice questa volta la pratica del ridere ad oltranza. Nove interpreti, che sulla scorta della figura iconica del clown, lavorano a un pezzo – scrive l’autore – «sul bisogno di sentirsi amati in maniera incondizionata e sul dolore». 60 minuti in cui si ride «per rappresentare gioia, euforia, commozione, sofferenza, rabbia e paura».
IL PEZZO parte bene, con uno sviluppo circolare in crescendo in cui i nove interpreti, inizialmente seduti di schiena al pubblico, si intrecciano secondo linee centrifughe e centripete che li coinvolgono sempre più freneticamente nel riso. Tuttavia il pezzo non decolla, si attorciglia piuttosto su se stesso, aprendosi poi a un focoso momento collettivo, percussivo e frontale (simile nell’alternare cadute a terra e risalite al finale di Clowns/ SHOW di Hofesh Shechter) che però si chiude ben presto, declinando il riso in pianto e il pianto in riso con prevedibilità.
IL RISULTATO è che la pratica della risata più che irrompere nella fisicità dello spettatore, rimane un esercizio faticando ad assurgere a motore scardinante in grado di trasformare con acutezza linguistica e emotiva il movimento e il gesto nello spazio e la relazione interna e esterna alla scena. Questo non per rinfocolare la battaglia su visioni contrapposte della danza e della coreografia, ma per cercare di osservare la creazione di un artista di cui stimiamo il percorso in rapporto a un pezzo forse non risolto. La Biennale, da parte sua, dovrebbe però riflettere sulla differenza tra un Leone d’Oro alla carriera e un Premio a un percorso in divenire. Ed è un peccato che, a differenza di tutti gli altri anni, non sia stato organizzato un incontro con l’artista, proprio perché il Premio apra e non chiuda questioni. Il Festival diretto da Marie Chouinard termina domani. Torneremo su altri spettacoli la prossima settimana.
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