Bene ha fatto il premier Mark Rutte a presentare le scuse, a nome del governo olandese, per i 250 anni di coinvolgimento dei Paesi Bassi nella schiavitù, definita un «crimine contro l’umanità». Meglio tardi che mai, però il suo discorso sarebbe stato più storicamente corretto e più efficace se avesse affrontato più a fondo il ruolo del colonialismo nell’arricchimento del suo Paese e nella storia europea negli ultimi 400 anni. Citando, per esempio, la ribellione di Natale nel 1831 in Giamaica: era colonia inglese ma le sue ricche piantagioni erano una delle principali destinazioni della tratta atlantica, in cui gli olandesi erano attivissimi. La rivolta si concluse con centinaia di schiavi impiccati ma condusse, pochi anni dopo, all’abolizione della schiavitù nell’impero britannico.

RUTTE, INOLTRE, AVREBBE potuto parlare delle isole Banda (oggi Molucche, in Indonesia) che erano l’unica fonte di noce moscata al mondo fino alla fine del XVIII secolo. Oggi troviamo la noce moscata in ogni supermercato ma tre secoli fa era più preziosa dell’oro e la fame di ricchezza della Compagnia olandese delle indie orientali, la famigerata VOC, era senz’altro pari a quella dei conquistadores spagnoli in America Latina. Anche la ferocia dei capitani olandesi in Asia non aveva nulla da invidiare a quella del colonialismo inglese: nel 1621 distrussero sistematicamente i villaggi che si trovavano sulle isole, catturando il maggior numero possibile di abitanti e uccidendo gli altri. I prigionieri, uomini, donne e bambini, furono ridotti in schiavitù e inviati alcuni a Giava, altri nello Sri Lanka. Dal 1600 al 1900, la VOC e la sua gemella, la Compagnia olandese delle indie occidentali ridussero in schiavitù più di un milione di persone. Mentre la schiavitù era proibita nei Paesi Bassi, era legale – e fondamentale per la redditività delle piantagioni – nelle colonie olandesi come Brasile, Surinam e Indonesia.

PER RICOSTRUIRE QUANTO accadde nelle Molucche ci è di aiuto l’ultimo libro di Amitav Ghosh, La maledizione della noce moscata, che descrive nei dettagli quanto accadde: «La posta in gioco – scrive – era altissima, per i navigatori e per i sovrani che li finanziavano: la corsa alle spezie fu in quell’epoca l’equivalente della corsa allo spazio nel XX secolo».

La noce moscata era nota in Asia e in Europa molto tempo prima che un olandese mettesse piede nelle Molucche. I viaggi della noce moscata continuarono per oltre un millennio, crescendo progressivamente in volume e valore perché la pianta cresceva esclusivamente nelle piccole isole Banda, un arcipelago di origine vulcanica. Oltre che in cucina, noce moscata, chiodi di garofano, pepe e altre spezie erano apprezzati dai ricchi europei per le loro presunte proprietà medicinali: per esempio, nel tardo Medioevo, un sacchetto di noce moscata bastava per comprare una nave o una casa. Nel Cinquecento, il suo valore andò alle stelle quando in Inghilterra i medici decisero di utilizzarla per curare la peste.

GIUSTAMENTE, GHOSH scrive che il costo delle spezie, all’epoca, era cosí astronomico che il loro valore dipendeva soprattutto dal loro carattere di feticci, forme primordiali di merce; erano apprezzate in quanto simboli invidiabili di lusso e ricchezza, «Una perfetta esemplificazione dell’idea di Adam Smith secondo cui laricchezza è una cosa che «si desidera non per le soddisfazioni materiali che procura, ma perché è desiderata da altri».

Tutti gli europei che si spingevano fino alle Molucche avevano quindi in mente la stessa cosa: un trattato che gli garantisse il monopolio sulle noci moscate e il macis delle isole. Per gli abitanti, però, è impossibile garantire un simile accordo: «Come possono rifiutarsi di commerciare con i loro partner abituali, provenienti da terre vicine e lontane?» scrive Ghosh, «Gli isolani dipendono dai propri vicini per il cibo e molto altro. Inoltre i bandanesi stessi sono esperti commercianti, e molti hanno stretti legami con altre comunità mercantili dell’Oceano Indiano; non possono certo mandar via i loro amici a mani vuote. Del resto, anche da un punto di vista economico non avrebbe senso, visto che spesso gli europei pagano meno dei compratori asiatici. Inoltre i bandanesi, come molti asiatici, non trovano particolarmente desiderabili le merci europee: cosa dovrebbero farsene, per esempio, di tessuti di lana, nel loro clima caldo?».

IL GOVERNATORE GENERALE Jan Pieterszoon Coen si era convinto che la questione delle Banda esigesse una «soluzione finale» (un concetto che esisteva in Europa quattro secoli prima che i nazisti arrivassero al potere in Germania): le isole dovevano essere ripulite dei loro abitanti. «Una volta eliminati i bandanesi, si potranno portare nell’arcipelago coloni e schiavi per creare una nuova economia. Sarà un’eccezione alla consueta pratica degli olandesi, che è quella di concentrarsi sul commercio ed evitare acquisizioni territoriali. Ma dal momento che il commercio della noce moscata è sinonimo di Banda, la cosa non può essere evitata. E prima lo si fa, meglio è». In effetti gli inglesi, i principali rivali nella zona, si erano da poco creati una testa di ponte su un’isoletta chiamata Run (nel 1664 gli inglesi la cederanno definitivamente agli olandesi in cambio di Nuova Amsterdam, subito ribattezzata New York).

In una lettera al Consiglio d’amministrazione della Voc, Coen scriveva: «A mio avviso sarebbe meglio cacciare tutti i bandanesi dal territorio». Ghosh aggiunge che per farlo con la maggiore efficienza possibile, aveva unito alle proprie forze «un contingente di ottanta mercenari giapponesi: sono ronin, samurai senza padrone. Oltre a essere piú a buon mercato e piú violenti dei soldati europei, sono anche spadaccini di professione e specialisti di esecuzioni, esperti nelle arti della decapitazione e dello smembramento». Ed è quello che accadde agli sfortunati abitanti delle isole nei mesi e negli anni successivi.