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Schiaffini, l’improvvisazione e il suo profeta

Ostinato L’improvvisazione è la filosofia musicale più vitale e Giancarlo Schiaffini è il suo profeta. Come ogni filosofia – soprattutto politica, ma le filosofie sono sempre politiche o almeno è probabile […]

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 20 luglio 2024

L’improvvisazione è la filosofia musicale più vitale e Giancarlo Schiaffini è il suo profeta. Come ogni filosofia – soprattutto politica, ma le filosofie sono sempre politiche o almeno è probabile che lo siano, come scriverebbe Roberto Bolaño, maestro del periodare sul «forse» e sul «probabile che sia così ma anche il contrario» – ha la sua storia, i suoi aspetti dogmatici e i suoi aspetti fortunatamente eretici (occorre essere eretici sempre).

La sua storia si perde nell’antichità e in mondi sconosciuti, si trova, ma ne sono state date troppo poche notizie da quando ha preso il potere assolutisticamente la scrittura sul pentagramma, nella pratica di un Bach o di uno Chopin, fiorisce in piena luce nella contemporaneità.

Col jazz pre-free e free e con momenti sparsi della «dotta». Naturalmente ottiene bellissimi risultati quando «dotta» e jazz si intersecano fino a diventare la vera nuova musica dell’oggi. Tra l’altro Schiaffini, gran solista di trombone e di tuba, compositore in senso stretto ogni tanto, spiega bene le vicende dell’improvvisazione e il suo conflitto/trattativa con la musica scritta in due libri: E non chiamatelo jazz (Auditorium, 2011) e Una generazione fortunata (Haze, 2022).

Ma il suo essere profeta dell’improvvisazione lo mostra ancora una volta in due cd recentissimi: ImprovvisoFantasia (Setola di Maiale, 2024) e Vertigo Voices (Linæ Occultæ, 2024). Nel primo è il gran sacerdote di un gruppo di improvvisatori non celebri e non divi (ma nemmeno lui lo è: per scelta) di probabile formazione «dotta» in dieci brani che giocano a rimpiattino con qualche traccia scritta.

Schiaffini è la voce più libera, più espressiva, più comunicativa, più pensante di esercizi di improvvisazione che risultano brillanti pur essendo concepiti sull’esempio storico dell’«informale» post-weberniano, con gradevolissimi spunti puntillisti. I compagni e forse allievi sono Manuela Galizia (voce), Giuseppe Giuliano (pianoforte), Pietro Pompei (percussioni), Corrado Rojac (fisarmonica), Federico Scalas (chitarra elettrica). Nel secondo album Schiaffini al trombone dialoga con un chitarrista danese per così dire «in carriera», Jørgen Teller. E ci troviamo, in contrasto con le atmosfere del precedente lavoro, nei territori dell’ermetismo. Se vogliamo chiamarlo così. Forse potremmo chiamarlo estremismo. Cioè, quando l’improvvisazione vuole proporre angoli acuti, asciuttezza totale, sequenze che ignorano qualsiasi idea di linea di suoni, nemmeno una linea non consequenziale. Dura esperienza ma di fascino innegabile. Data la maestria dei due interpreti alla ricerca di un «assoluto» che forse c’è e forse no.

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