Scene da basso impero per il sistema degli «eletti»
Noir «Pesci in Barile» di Sebastiano Canetta e Ernesto Milanesi. Corruzione e affari illeciti. La criminale connivenza tra deputati e imprenditori nel nord-est per accedere all’Olimpo della ricchezza
Noir «Pesci in Barile» di Sebastiano Canetta e Ernesto Milanesi. Corruzione e affari illeciti. La criminale connivenza tra deputati e imprenditori nel nord-est per accedere all’Olimpo della ricchezza
Una vecchia volpe della commistione tra politica e sporchi affari; un docente universitario che invoca la meritocrazia senza aver mai scritto niente che valga la pena di citare; alcuni professionisti (avvocati, notai, commercialisti) che hanno sempre coperto gli affari sporchi; una guardia del corpo in servizio permanente effettivo per molti anni nei servizi segreti; uno skipper tappetino con i potenti di turno; una escort che vuole entrare nel giro che conta. Sono alcuni degli ingranaggi del «sistema» che opera nel nord-est, regione geografica divenuta il simbolo del capitalismo molecolare che ha fatto gridare al secondo miracolo economico dell’Italia dove tutti potevano arricchirsi. Soltanto che il sogno si è trasformato in un incubo, quando la globalizzazione ha messo in ginocchio molte delle società capitaliste, svelando le loro fragilità e la ferocia della cosiddetta Terza Italia. È questo lo sfondo di Pesci in barile (manifestolibri, pp. 188, euro 20), romanzo d’esordio di Sebastiano Canetta e Ernesto Milanesi, due firme conosciute dai lettori de il manifesto.
Tutto ruota sulla festa di compleanno del «gran capo», colui che tira le fila del gruppo che gestisce l’oliato sistema di corruzione di personaggi politici e di funzionari della pubblica amministrazione per strappare le commesse pubbliche a imprese private. In una rodata divisione del lavoro, ognuno svolge un compito per riempire il già voluminoso portafoglio degli «eletti» e evadere il fisco. Gestiscono affari di centinaia di migliaia di euro. Tutti però inseguono il sogno dell’affare che consente di tirare i remi in barca e ritirarsi in qualche sfavillante angolo del mondo per fare la bella vita, attorniati da avvenenti donne che soddisfano, senza discutere, ogni infimo desiderio. La sessualità degli «eletti» è così miserabile che fa rimpiangere i soft core degli anni Novanta. Quasi tutti hanno girato la boa dei cinquanta anni e vogliono vivere una terza età senza doversi sbattere più di tanto.
Non si sono appropriati o hanno evaso il fisco per milioni di euro. Le truffe, i raggiri non hanno mai raggiunto cifre stratosferiche, ma quel tanto che consente loro di condurre una vita agiata. Non conoscono gli effetti della crisi economica, ma sanno che la competizione è diventata più dura, perché le casse dello stato, delle regioni e dei comuni sono quasi azzerate. Il sistema al quale appartengono si è formato dopo il naufragio della prima Repubblica e la disintegrazione dei partiti di riferimento, anche se l’anticomunismo è rimasto il collante ideologico degli «eletti».
Il manovratore di tutto è il «gran capo», che ogni anno organizza una sontuosa festa per il suo compleanno. La location è in qualche punto della costa nella ex-Jugoslavia, dove ci sono zone rigorosamente interdette al pubblico attraverso guardie private ben armate e la complicità della polizia locale. Nelle feste annuali sono previste cameriere che, oltre a servire cocktail e aragoste, sono disponibili anche a «erogare altri servizi». Come ogni gruppo malavitoso, il cerchio magico attorno al capo è segnato da gerarchie, che danno vita a feroci battute e accuse reciproche su sciocchezze commesse nei loro affari.
Un romanzo scritto con lo stile di un’accurata inchiesta giornalistica, perché il protagonista assoluto è il nord-est con la sua corruzione, traffici illeciti e il feroce sfruttamento di chi lavora, indipendentemente se migrante o meno. Ma è pur sempre un romanzo e la lettura deve essere scorrevole e avvincente. Gli autori, però e inspiegabilmente per dare maggiore ritmo introducono spesso i puntini di sospensione: un espediente che però affatica la lettura.
Gli «eletti» vogliono dunque assicurarsi una pensione dorata, spostando all’estero i loro tesoretti nascosti per metterli al riparo da guardia di finanza e indagini della magistratura. L’operativo che deve fare l’operazione è uomo di fiducia del gran capo, l’unico che si concede la possibilità di portare con sé una escort, così bella che gli altri «eletti» non fanno che sbavargli dietro.
C’è però un imprevisto, come in ogni noir che si rispetti. Non è un omicidio efferato, né il poliziotto integerrimo che vuol fare luce sui loschi affari. Il capo della sicurezza è un convertito all’Islam. Ha fatto propria la religione di Maometto dopo il colloquio con un personaggio che parla di guerra santa, senza però mai fare riferimento a nessuna delle sigle dell’Islam politico radicale. Il primo incarico che ha è di controllare proprio gli «eletti». L’altra componente dell’imprevisto è l’uomo di fiducia dello yacht del gran capo. Un uomo con l’indole del gregario, ma desideroso di possedere una barca tutta sua e girare il mondo, che ha forse tra le mani il bandolo di una viscida e sporca matassa.
Le attività degli eletti sono svelate. Non c’è niente di eclatante. Sembra, appunto, di trovarsi tra le mani un esempio di narrative journalism. È il fascino di questo romanzo che restituisce il provincialismo, la grettezza, l’inconsistenza progettuale di esponenti politici – senza nessuna variazione tra centrosinistra e centrodestra – e imprenditori legati a un «particolare» travolto da una globalizzazione che non prevede di fare nessun prigioniero. Alla fine della festa, dopo sedute porno a base di alcol e pillole blu, l’incubo. L’operativo è sparito con la cassa. Il panico. Con un finale che allude a un sequel, dove la jihad forse uscirà dallo sfondo per occupare il centro della scena.
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