Scarsa adesione e tensioni alla manifestazione «Io apro»
La protesta Alla convocazione nazionale rispondono in un migliaio. In piazza anche Casapound
La protesta Alla convocazione nazionale rispondono in un migliaio. In piazza anche Casapound
Alla fine, la preannunciata invasione dei ristoratori non c’è stata. Ieri all’appuntamento nazionale convocato a Roma dalla sigla «Io apro» si sono presentate poco più di un migliaio di persone. Numeri lontani da quelli agitati dagli organizzatori, che avevano promesso, nonostante il divieto della Questura a manifestare a Montecitorio, di assediare il parlamento in almeno 20mila. «Hanno bloccato autobus e treni», dicono alle 15 in piazza San Silvestro. In realtà il pullman fermato è uno solo: veniva da Bologna e al casello Roma nord sono stati identificati i 39 passeggeri.
Tra i manifestanti giunti nella centrale piazza romana, blindata in tre ingressi su cinque da carabinieri, polizia e guardia di finanza, ci sono anche i militanti di Casapound. Una presenza non gradita a molti ristoratori: qualcuno chiede che vadano via, ma i «fascisti del terzo millennio» rimangono. Così tra bandiere siciliane, striscioni per le riaperture e cartelli di partite Iva, si vedono magliette con il tricolore e la scritta «stesso posto davanti allo stesso nemico».
Un momento della manifestazione, foto Roberto Monaldo / LaPresse
Negli interventi dal megafono si alternano testimonianze sulla terribile situazione del settore a insulti contro i giornalisti, che ogni giorno «diffondono l’allarme» sulla pandemia. Quando un ragazzo dice che non servono altri bollettini macabri ma c’è bisogno di «speranza», qualcuno urla che di «Speranza» non se ne può più. Intorno alle 15.30 mentre Luca Marsella, esponente di Casapound Ostia, e Mohamed El Hawi, responsabile di «Io apro», sono in prima fila per convincere la polizia a far muovere il corteo, dalle retrovie partono prima spintoni e poi petardi e bottiglie. Un ragazzo viene ferito.
Tensioni in piazza San Silvestro, foto Roberto Monaldo / LaPresse
La piazza inizia a svuotarsi e i ristoratori sono i primi ad andare via. «Ma come… è già finita?», chiede una donna con accento toscano. Dei gruppetti si sparpagliano nelle strade vicine. Uno prova a raggiungere il Parlamento ma viene intercettato. Un altro butta a terra monopattini elettrici e cassonetti su via del Corso. Una cinquantina di persone improvvisano un blocco stradale in via del Muro Torto, dietro piazzale Flaminio. In una strada vicina, la polizia cerca di fermare El Hawi ma intervengono gli altri manifestanti. Ci sono dei tafferugli e una carica di alleggerimento. Una ventina di persone finiscono circondate dalla celere su una scalinata di piazza del Popolo. Anche qui spintoni e fermi. In serata, una delegazione di «Io apro» viene ricevuta al ministero dell’Economia dal sottosegretario leghista Claudio Durigon.
Nonostante la ridotta adesione alla mobilitazione di ieri, da cui peraltro varie organizzazioni del settore si erano sfilate, rimane la drammatica condizione di migliaia di lavoratori. I ristori in molti casi non sono stati sufficienti neanche a pagare gli affitti dei locali e solo alla fine si vedrà quanti esercizi riusciranno ad apparecchiare di nuovo la tavola. Accanto ai ristoranti chiusi, però, nelle vie del centro di Roma ci sono anche gli hotel con le porte sbarrate e poi forni, bar, tavole calde e pizzerie da asporto, negozi di scarpe e vestiti. Questi sono aperti, ma completamente vuoti.
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