A distanza di due anni del precedente, L’accordo. Era l’estate del 1979 (recensito su il manifesto del 9 febbraio 2021) è arrivato in libreria il secondo volume di quella che si annuncia come una tetralogia ovvero L’accordo. I vivi e i morti (Carbonio, pp. 256, euro 15) di Paolo Scardanelli. Continua così il viaggio nel tempo ormai trascorso che l’autore siciliano attraversa con l’atteggiamento e l’intenzione, in qualche maniera proustiani, ma non solo, di salvare ciò che è avvenuto, trovando nei percorsi rivissuti un senso.

È PROPRIO QUESTO «l’accordo» che dà il titolo a tutta l’opera, quando, cioè, «il tempo sembra decelerare sino a fermarsi, e i nodi delle idee, suscitate dalle impressioni presenti dalla scaturigine della memoria, mostrano in un momento, con una chiarezza rara, ignota, tutto il senso dell’essere in una percezione di natura superiore, sintetica e, ai nostri occhi, assoluta».

Allora, vita, memoria, letteratura è come se si alternassero l’una all’altra e, nello stesso tempo, si mescolassero per dipanare la matassa del passato, impastandosi con il dolore che fa comunque da basso profondo di tutta l’esistenza umana, facendo rivivere gli stessi sentimenti e le stesse emozioni già provate nel passato oppure, addirittura suscitandone di nuove. Non si tratta, però, di un ingenuo accostarsi al materiale incandescente che è la vita stessa, ma di intraprendere e portare avanti il viaggio con gli occhi ben aperti, per così dire. Utilizzando, quindi, tutti gli strumenti che la filosofia, la musica, la poesia possono fornire: le riflessioni del vecchio Schopi, le categorie kantiane, Nietzsche, e poi Peter Handke e Anna Achmatova, la musica di Wagner e quella di Neil Young, fino al calcio di Sacchi e Van Basten. E si arriva anche ad assaporare atmosfere e suggestioni proprie dell’antica Grecia, tra dei ed eroi, sibille e pizie. Fino a ritrovarsi su di una navicella spaziale.

Letteratura di stampo postmoderno, dunque, ricca di citazioni e di rimandi, evidenti o nascosti? Niente di più lontano. La vicinanza a tematiche e stilemi proustiani – ritornano nel testo, ad esempio, les intermittences du coeur – non rendono l’autore siciliano un semplice epigono del ricercatore del tempo perduto. L’itinerario, la strada seguita è differente, così come è diverso il modo di attraversarla, il modo di vedere e lo stesso occhio che ripercorre gli eventi e le cose. E anche sono assolutamente personali la scrittura, lo stile, la lingua.

UNA MANIERA DI SCRIVERE colta e raffinata eppure chiara e limpida, dove l’uso di figure retoriche, l’attenzione a sonorità e ritmi rendono la prosa di Scardanelli vicina alla poesia. Poesia d’amore, spesso, dato che le figure che emergono con più forza, in questo secondo romanzo, sono quelle femminili.

Certo, la presenza sempre in qualche modo avvertita è quella di Andrea, l’amico morto, diventato quasi la coscienza dell’autore, ma poi, c’è la ragazza francese dell’ufficio del turismo, un personaggio quasi alla François Truffaut, e soprattutto, con grande impatto, ci sono Anna, quella che era la donna di Andrea, Nadia la figlia adottata da Paolo, il protagonista, e dalla sua compagna Giovanna e quella che forse si impone con più forza sulla scena, Francesca, l’amore tremendo e impossibile, immenso e disperato, destinata anche lei a morire giovane. Ma il libro è denso anche di storie, avvenimenti e riflessioni, tutto in equilibrio, pur se precario, tra passato e futuro, tra emozione e ragione.

Del resto, «nulla garantisce il futuro se non l’accettazione del passato», così come «la ragione è nulla senza emozione e l’emozione non può prendere forma senza la ragione». E forse proprio questo oscillare tra ieri e domani e questo prendere forma dell’emozione tramite la ragione rappresenta ciò che può essere definito il mistero della letteratura.