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Scacco matto alla pakistana

Scacco matto alla pakistanaNausheen Saeed "Belonging", 2008

Reportage Mille chilometri in treno attraversando il paese da Lahore a Karachi, con soste speciali negli studi degli artisti della new wave asiatica

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 10 ottobre 2015

Un viaggio in treno da Lahore a Karachi, ovvero dal Punjab al Sindh, dall’interno al Mar Arabico, dalla tradizione alla mondanità cosmopolita, può essere un interessante spunto visivo – reale e metaforico – come introduzione alla complessità di un paese come il Pakistan, antichissimo ma politicamente giovane, puntualmente affrontate dagli artisti contemporanei pakistani. Lentezza e velocità sono proprio i parametri all’interno dei quali vengono codificati i loro sguardi, i sentimenti, le riflessioni che non prescindono dalle contraddizioni che loro stessi si trovano a vivere nel quotidiano, tenendo a bada (o elaborando) gli stereotipi che fanno comodo all’occidente, perché in Pakistan non ci sono solo violenza, intolleranza, attentati, talebani, corruzione, povertà, violazione dei diritti umani.
Lahore-Karachi: 1035 km. Le rotaie attraversano il paese lasciando il verde intenso e lussureggiante per entrare nel giallo ocra del deserto, subito dopo aver superato l’importante snodo di Hyderabad. Il movimento del treno culla lo sguardo. Basse costruzioni di mattoni, minareti bianchi e verdi, billboard che quando non sono vuoti pubblicizzano le ultimissime creazioni delle più note firme della moda pakistana: Saavan, Alkaram, Gul Ahmed… e tanti altri prodotti locali e internazionali. Sorrisi smaglianti e seducenti, persino un po’ ammiccanti, soprattutto quelli delle bellissime modelle in coloratissimi salwar kameez e dupatta. Il retro di questi grandi cartelloni pubblicitari è quasi più interessante del verso, perché svela tracce «informali», rammendi policromi come le coperte patchwork.

Quasi sempre la strada principale corre parallelamente ai binari, animata dai camion dipinti – gli stessi fotografati da Bruce Chatwin nel 1969 (a Karachi anche gli autobus pubblici sono finemente decorati dentro e fuori, li chiamano dulen buses, «gli autobus spose») – mucche, capre, cavalli, carretti trascinati dai buoi, la gente cammina lentamente accanto ai risciò a motore, alle motociclette che trasportano intere famiglie, alle nuovissime automobili coreane e giapponesi.
La notte è buia durante il lungo viaggio in treno, completamente diversa da quella rumorosa di luci artificiali dei nuovi quartieri residenziali e commerciali di Lahore e Karachi, come Defence o Gulberg (stesso nome per i quartieri di entrambe le città). Qui la globalizzazione ha palesemente sdoganato le sue regole, trovando un compromesso tra stili di vita tradizionali e contemporaneità. Un esempio: Khaadi, brand 100% pakistana specializzata in moda e arredi che conta oltre trenta negozi in tutto il paese, produce capi di tendenza che s’ispirano alla secolare tradizione artigianale dei tessuti stampati a mano con i cliché di legno. Però basta aggirarsi in zone come Anarkali a Lahore, o Saddar a Karachi, per un’autentica full immersion cromatico-sonora-olfattiva che riporta indietro nel tempo in un mix di stili e culture che abbracciano l’eredità islamica e quella hindu.

Raffinatissima è la tradizione decorativa che appartiene alle varie etnie del paese e che attraversa come un fil rouge tutte le arti applicate: ricamo, affresco, gioiello, ctopramica, miniatura, tessitura. In particolare alcuni motivi ornamentali, ripetuti nel tempo, definiscono un’eredità culturale che risale alla sfavillante epoca Moghul (soprattutto tra il XVI e il XVIII secolo), di cui c’è traccia nei gioielli architettonici di Lahore come la moschea di Wazir Khan, il forte, i giardini Shalamar e la meravigliosa moschea Badshahi.

DSC_0931 - Quddus Mirza nel suo sudio, Lahore (foto  Manuela De Leonardis)
Quddus Mirza nel suo studio, Lahore (foto Manuela De Leonardis)

La tradizione è ancora oggi un innegabile punto di partenza per tutti gli artisti pakistani, la maggioranza dei quali esce dall’Nca – National College of Arts di Lahore, la più importante scuola d’arte governativa. Eredità degli inglesi (quando fu fondata nel 1875 si chiamava Mayo School of Arts) l’elegante edificio in mattoni rossi, a due passi dal Lahore Museum, ospita vari dipartimenti. Oltre a quello di miniatura diretto da Imran Qureshi (Hyderabad 1972), Deutsche Bank’s Artist of the Year 2013, ci sono belle arti, architettura, design, disegno tessile, musicologia, disegno su ceramica, film e televisione: Lahore è anche sede della produzione cinematografica conosciuta come Lollywood che, sebbene non possa competere con Bollywood, sforna ogni anno centinaia di film in urdu e panjabi. A capo del dipartimento di belle arti c’è Quddus Mirza (Lahore 1961), che oltre ad essere un noto artista è anche critico (collabora con Art Now, prima rivista online pakistana dedicata al contemporaneo) e curatore. È autore con Salima Hashmi del libro 50 years of Visual Arts in Pakistan (1997), mappatura che dalla generazione di artisti che nati un decennio prima della partizione si conclude con Shahzia Sikander (Lahore 1969, dagli anni ’90 risiede a New York), prima artista contemporanea pakistana ad aver partecipato nel 2005 alla 51/ma Biennale di Venezia, conosciuta al livello internazionale per il suo lavoro metaforico, nato anch’esso nell’ambito della tradizione miniaturistica indo-persiana grazie all’insegnamento all’Nca di Bashir Ahmed (1953), docente e mentore anche di Qureshi. Colonialismo, identità, sessualità sono tra le tematiche che l’artista affronta traducendo in un flusso costante passato e presente.

Dalla data di pubblicazione di questo libro ad oggi lo scenario artistico è cambiato sostanzialmente: intanto i linguaggi degli artisti si sono arricchiti con l’utilizzo di altre tecniche meno convenzionali, inoltre la loro partecipazione a mostre, residenze artistiche, master e specializzazioni all’estero ha permesso una maggiore apertura e circolarità con il resto del mondo. Se, tuttavia, Lahore è il fulcro intellettuale, Karachi è l’anima del business in cui un posto significativo è occupato proprio dall’arte contemporanea: uno dei più noti collezionisti è Khurram Kasim.

Accanto a gallerie storiche come Chawkandi Art, attiva da oltre trent’anni, sono sorte importantissime piattaforme come la Koel gallery e, soprattutto, la Canvas gallery, fondata nel 1999 dall’architetto Sameera Raja che promuove esclusivamente il lavoro degli artisti pakistani, non solo attraverso le mostre in situ (due ogni mese), ma anche con la partecipazione a vetrine internazionali come Dhaka Art Summit, India Art Fair, e, in particolare, Art Dubai. Proprio in occasione dell’ultima edizione di Art Dubai è stata presentata la mostra personale Portraits di Ayaz Jokhio (Mehrabpur, Sindh 1978, vive a Lahore), poeta e scrittore (nel 1999 la Sindhi Adabi Sangat gli ha assegnato dalla il premio come miglior poeta dell’anno), oltre che artista visivo che pur mantenendo le distanze da una qualsivoglia categorizzazione del proprio lavoro (non ama essere definito artista concettuale, né tanto meno politico) trova nell’ironia un elemento di raccordo tra il proprio immaginario e la realtà che lo circonda.

L’elenco degli artisti della scuderia Canvas gallery è quanto mai nutrito: molti di loro sono presenti nel nuovo vademecum pubblicato da Salima Hashmi con il titolo The Eye Still Seeks. Pakistani Contemporary Art (Penguin Studio), che è stato presentato in occasione del Lahore Literary Festival 2015. Tra loro sono presenti anche Naiza H. Khan, Adeela Suleman, Farida Batool, Quddus Mirza, Ali Kazim, Risham Syed, Mohammad Ali Talpur, Nausheen Saeed, Imran Qureshi, nonché Rashid Rana, riconosciuto all’unisono come la star del firmamento artistico pakistano. È interessante notare che Extra.Ordinary: 37 do-it-yourself art ideas for free – mostra inaugurale, nel 2013, della nuova sede espositiva della Canvas – basata sul concetto di ready-made, sia stata affidata proprio alla sua curatela. Rashid Rana (Lahore 1968) è l’artista pakistano protagonista con l’indiana Shilpa Gupta della mostra My East is Your West, evento collaterale della 56. Biennale di Venezia, voluto dalla Gujral Foundation in collaborazione con la Lahore Biennale Foundation (LBF), organizzazione no-profit impegnata nella realizzazione della I edizione della Biennale d’arte di Lahore che avrà luogo nel 2016. Anche lui svolge parallelamente l’attività di docente: è fondatore e responsabile del dipartimento di belle arti della BeaconHouse National University (Bnu) di Lahore, altro punto di riferimento nella formazione nel campo della visualità, ma in questo caso si tratta di un’istituzione privata.

DSC_1037 - Farida Batool, NCA Lahore (foto Manuela De  Leonardis)
Farida Batool, NCA Lahore (foto M. De L.)

Da qui è uscito, ad esempio, Basir Mahmood (Lahore 1985), premiato nel 2013 al Contemporary Art Festival Sesc_Videobrazil Priz di San Paolo con il video My Father (2010). Video, film e fotografia sono i linguaggi con cui il giovane autore esplora le mutazioni sociali attraverso la messa a fuoco di gesti e situazioni che lo circondano. Il suo sguardo è lucido, ma il ritmo narrativo poetico. Mahmood è l’artista selezionato per la residenza alla Rijksakademie di Amsterdam nel 2016.
Alla Bnu insegna anche Risham Syed (Lahore 1969), vincitrice dell’Abraaj Capital Art Prize 2012 con il lavoro The Seven Seas, 7 Quilts. L’artista utilizzando materiali trovati, insieme al ricamo, alla fotografia e alla pittura, definisce una sorta di cartografia geopolitica in cui il passato è la fonte per tentare di mettere a fuoco le problematiche dell’oggi. L’uso della fotografia è il modo più diretto per osservare i cambiamenti sociali e urbanistici del paese, in particolare della sua città, a cui è dedicata Lahore series (2010-12): centinaia di immagini fotografiche (successivamente elaborate attraverso la pittura o la stampa su finti tessuti jacquard «made in China») raccontano i cambiamenti radicali di interi quartieri, cartoline che definiscono lo squallore, o anche solo l’omologazione, di skyline di architetture di cemento, fili della luce, condizionatori, mentre nella parte vecchia gli antichi palazzi con le mashrabiye di legno cadono a pezzi.

La fotografia è il mezzo che appartiene anche a Farida Batool (Lahore 1970), impegnata politicamente fin da giovanissima. Usando la stampa lenticolare (una delle sue immagini più note è Nai Reesan Shehr Lahore Diyan, 2006 battuta da Christie’s per oltre 8mila sterline) Batool attribuisce un profondo significato metaforico al soggetto che inquadra. La visione tridimensionale, illusoria e mutevole, riflette un mondo interiore che si confronta con le dinamiche sociali, sottolineando l’impatto percettivo di una realtà instabile e potenzialmente pericolosa. Più esplicite sono le riflessioni della scultrice Nausheen Saeed (Lahore 1968) nell’affrontare la questione della condizione femminile in una società dichiaratamente maschilista. In opere come Belonging, Handle with Care, Delicacies, Dove (tutte datate 2008) Saeed scolpisce corpi femminili nel sapone, nel pane o li trasforma in valigie. Per l’uomo comune, in Pakistan, una donna non è un individuo indipendente, ma è l’anello di uno schema relazionale che la vede nel ruolo di madre, sorella, zia, figlia, madre o magari amante. Nel rappresentare questi corpi femminili nudi, eppure velati, talvolta frammentati e sospesi, l’artista esprime anche la gamma di emozioni contenute nel loro interno. Alla frustrazione dell’impotenza subentra la grinta nell’affrontare i cambiamenti.

DSC_0974 - NCA - National College of Arts, Lahore (foto  Manuela De Leonardis)
NCA – National College of Arts, Lahore

Avvolti in una dimensione misteriosa e sfuggente sono, invece, sia i lavori di Ali Kazim (Pattoki 1979) che di Sana Kazi (1983), che hanno affidato la promozione del loro lavoro alla White Turban Art Consultancy, società creata dalla curatrice Ambereen Karamat. Da una pittura tradizionale, i primi lavori di Ali Kazim sono ritratti prevalentemente maschili ad acquarello, matita, pastello, egli si muove verso una tridimensionalità interpretata come disegno che si libra nello spazio.

Nell’installazione Untitled, realizzata quest’anno in occasione della personale alla galleria Rohtas 2 di Lahore, le strutture cilindriche sospese sono fatte di capelli, sia umani che sintetici. Capelli scuri che rimandano ai tratti a matita di un grande disegno: innumerevoli tratti accostati l’uno all’altro. Quanto a Sana Kazi, si è formata nell’ambito della tradizione miniaturistica. Partendo dalla conoscenza della tecnica detta pardakht (una sorta di puntinismo lineare) l’artista elabora un linguaggio tutto suo sperimentando l’uso della cenere con la grafite su carta wasli. Spesso ritrae volti dormienti, in sequenza, soggetti catturati in uno stato di apparente immobilità, abbandonati al subconscio quanto alla consapevolezza.

Fortemente legati alla tradizione rimangono invece i lavori pittorici di Mussarat Arif e A.Q. Arif (1975), attivi a Karachi dove si sono conosciuti frequentando la Karachi School of Arts. A.Q. alterna pittura ad olio e colori acrilici all’acquarello nel descrivere architetture-fantasma che sconfinano tra dimensione reale e onirica, evocando lontani splendori che, talvolta, vengono inseriti in contesti urbani congestionati. Diversamente, sua moglie Mussarat usa la calligrafia per proporre dipinti ispirati dalle antiche pagine miniate in cui si invoca il Divino, parlando di amore, pace e fratellanza, secondo l’insegnamento della tradizione sufi.

A Karachi, infine, rimane indissolubilmente legata Naiza H. Khan (Bahawalpu 1968), pur avendo da qualche tempo anche lo studio a Londra. La fondatrice del collettivo di artisti Vasl, vincitrice del premio Prince Claus 2013 ha iniziato il suo percorso negli anni ’90. Allora era impellente la necessità di portare avanti le sue riflessioni intorno al corpo femminile, disegnando, incidendo e poi modellando armature-lingerie (corsetti, cinture di castità, gonne) di acciaio galvanizzato, metafora di una condizione di femminilità negata, ma anche di una fragilità forse solo in parte apparente. Per non rimanere intrappolata nei suoi stessi cliché, Naiza Khan pur continuando ad affrontare tematiche sociali, nel tempo ha focalizzato l’attenzione su altre questioni, come le difficoltà del vivere quotidiano in una città come Karachi (megalopoli con una popolazione di 22 mila abitanti), tra calamità naturali, degrado, pressioni politiche, violenze di ogni genere (nell’aprile scorso è stata assassinata per strada con cinque colpi d’arma da fuoco l’attivista Sabeen Mahmud).

DSC_0133 - opera di Naiza H Khan - Karachi (foto Manuela  De Leonardis)
Opera di Naiza H Khan – Karachi (foto Manuela De Leonardis)

In particolare, negli ultimi anni, il suo lavoro di documentazione ha puntato su Manora, l’isoletta collegata alla terraferma da una strada rialzata di 12 km. Utilizzando parallelamente scultura, video, disegno, pittura, l’artista racconta l’abbandono di luoghi come l’osservatorio meteorologico, o il degrado del tempio indù Shri Varun Dev Mandir.

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