Sbarbaro, dall’Ilva di Genova ai libretti di Mal’Aria
Copertine di quattro «Libretti di Mal’Aria» a firma Camillo Sbarbaro
Alias Domenica

Sbarbaro, dall’Ilva di Genova ai libretti di Mal’Aria

Novecento italiano San Marco dei Giustiniani pubblica il carteggio 1959-1975 tra Camillo Sbarbaro e Arrigo Bugiani: l’editore angelico della più esile biblioteca del mondo
Pubblicato più di un anno faEdizione del 11 giugno 2023

Con il passare del tempo viene riservata sempre più attenzione all’opera di Camillo Sbarbaro. Contravvenendo alle dichiarazioni dell’autore, tese a sminuire l’importanza dei propri scritti, nell’intento quasi autolesionistico di relegarsi in una virtuale galleria di «minori», si assiste da svariati decenni a un pullulare di studi in controtendenza rispetto alla parsimonia con la quale il poeta licenziava periodicamente «gocce», «quisquilie» e «bolle di sapone» (si pensi ai volumetti in-24° o, addirittura, in-32° stampati dall’amico Vanni Scheiwiller). Dopo il «Meridiano» di Poesie e prose a cura di Giampiero Costa (2022) , bisogna segnalare l’impegno profuso da Giorgio Devoto che, per le Edizioni San Marco dei Giustiniani, si occupa da tempo immemorabile della figura di Sbarbaro, centellinando una serie di inediti destinati ad arricchire varie collane, tra cui quella dei «Quaderni sbarbariani» che ha accolto, tra l’altro, lettere indirizzate a Lucia Rodocanachi, Adriano Guerrini, Giorgio Caproni, Enrico Falqui, Mario Novaro, Alceste Angelini, Giovanni Solari, Carlo Bo, Vanni Scheiwiller, Angelo Barile, Giovanni Giudici. Esce ora, nella stessa collana, Lettere 1959-1975 (pp. 88, s.i.p.) che raccoglie, per le ottime cure di Gloria Manghetti e con la consueta eleganza editoriale, il carteggio inedito tra il poeta, coadiuvato dalla sorella Clelia, e Arrigo Bugiani, inimitabile artefice dei «Libretti di Mal’Aria».

I due autori entrarono in contatto nel ’59 attraverso l’intermediazione di Angelo Barile. Bugiani, impiegato all’ILVA di Genova, dove lavorò per un certo periodo anche Sbarbaro, allestì in quel medesimo anno un servizio fotografico in cui ritrasse, oltre al poeta e alla sorella, alcuni miseri oggetti quotidiani come la scrivania denominata il «pensatoio», i licheni o un paio di pantofole deformate nella casa di Spotorno (una scelta di questi scatti in Camillo Sbarbaro. Immagini e documenti, Libri Scheiwiller, 1981 e in Camillo Sbarbaro. La Liguria, il mondo, CARIGE, ’97, entrambi curati da Domenico Astengo). Ma il carteggio verte soprattutto sui «Libretti di Mal’Aria», iniziativa editoriale a cui Sbarbaro collaborò tramite qualche sporadico contributo. Inaugurati nel ’60 con L’inno eucaristico di Domenico Giuliotti, musicato da Domenico Bartolucci e corredato da una xilografia di Pietro Parigi, proseguirono fino al ’94, anno in cui il loro ideatore scomparve alla ragguardevole età di 97 anni. L’ultimo libretto, curato dalla moglie Mite Leoni, su indicazione dello stesso Bugiani, apparve postumo, accogliendo parole semplici e toccanti che sembrano l’epitaffio di un nullatenente. Sul frontespizio campeggia un’incisione di Mariaelisa Leboroni che riproduce due alberi contrapposti, uno lussureggiante tra le nuvole che ne sovrasta un altro, rinsecchito a contatto con una terra avara. Chi non sa morire non sa amare suggerisce il titolo.

Il primo numero presentava già quelle che saranno le caratteristiche grafiche di tutti i libretti: un foglio di cm 29 x 20 piegato in quattro, le cui pagine interne risultano vuote, venendo impresse solo occasionalmente. I libretti pubblicati sono 570, suddivisi in cinque centurie numerate cui segue una numerazione a scalare, dove il testo creativo si alterna o si integra con la proposta di documenti rari o inediti della tradizione e del repertorio folcloristico. L’intento era quello di creare «la più esile biblioteca del mondo», come la definì Marino Parenti. A filastrocche e disegni infantili seguono stralci da opere erudite del passato, a poesie e schizzi di autori più o meno noti subentrano aforismi, apologhi, versioni da lingue poco conosciute (ma figurano anche Keats, Apollinaire, Senghor, Wiesel), epigrafi che colpiscono per la loro immediatezza. L’editore maremmano cercava, con puntigliosa dovizia artigianale, di manifestare la temperie presente in un determinato frammento attraverso la scelta di carte e caratteri che si differenziavano da titolo a titolo. Esemplari in tal senso risultano l’Invocazione di medici a Dio proposta da Robert Hutchinson che viene stampato, in considerazione del tema, su strisce di carta adoperata per gli elettroencefalogrammi e la Dichiarazione d’amore di fanciulla siciliana ignota, impressa sulle veline impiegate per incartare le arance.

L’impresa editoriale di Bugiani nacque da una costola della rivista maremmana di ascendenza cattolica «Mal’Aria», di cui uscirono nove numeri tra il ’51 e il ’54, alcuni a carattere monografico dedicati a Lorenzo Viani, Pietro Parigi e Luigi Bartolini. La redazione era composta, oltre che da Bugiani, da Fiore Mascheroni e Basco Lazzeretti, pseudonimi dello stesso editore. Bugiani pubblicò a proprio nome vari testi, tra cui Festa dell’òmo inutile (Vallecchi/Edizioni del Frontespizio, 1936) e La stella (Morcelliana, ’46), illustrato da Ottone Rosai. Tra gli autori dei libretti si ricordano Betocchi, Caproni, Parronchi, Sinisgalli, De Libero, Pierro, Marin, Giotti, Arpino, Cergoly, Luzi, Ceronetti estemporaneo traduttore di Shakespeare e Céline. Le firme degli illustratori erano altrettanto prestigiose: Greco, Caruso, Gentilini, Sassu, Treccani, Castellani, Guttuso, Saccorotti, i due Bartolini (Luigi e Sigfrido). Molto elegante, nella sua semplicità, il tratto con cui il figlio Orso Bugiani interpreta certe tematiche. In una lettera Sbarbaro scrive: «Caro Astengo, se Bugiani ancora non lo conosci, avrai il piacere (…) d’incontrare un uomo angelico». Le lettere di Sbarbaro sono lapidarie, telegrafiche, com’era nello stile epistolare dell’autore ligure, anche se a tratti rivelano l’incanto di qualche isolata gemma. È il caso della lettera dell’aprile 1965, il cui post-scriptum confluirà nel libretto postumo intitolato Una goccia rimasta fuori dal «Contagocce»: «Per dire fare l’amore, i greci dicevano essere giovani insieme. Che modo di sentire pulito: l’amore come ruzzare di cuccioli». Altrove, come nella lettera di inizio marzo ’64, Sbarbaro polemicamente afferma: «Che fortuna la mia di non aver avuto a che fare col mondo dei letterati militanti». La sorella Clelia è costretta in data 16 ottobre 1960 a precisare che il poeta non è in grado di rispondere a causa del manifestarsi di una grave depressione. In occasione della scomparsa del fratello, il 10 novembre 1967 scrive: «Millo mi ha lasciata sola, mi consola il pensiero che non sono stata io a disertare».

Oltre a 5 cartoline (’61), In ricordo di Giacomo Natta (’62), Pensieri (’62) e la curatela di Il cappello stanco di Giacomo Natta (’61), bisogna ricordare i libretti postumi Messagger che porta olivo (’76), Una goccia rimasta fuori dal «Contagocce» (’77), Librettisti del primo tempo (’87) che comprende il dittico Elegiaca di Orsola Nemi e Facèzia di Sbarbaro (molto divertente l’epigramma che ironizza sui libercoli lillipuziani, i cosiddetti «taschinabili», editi da Scheiwiller: «Peccato, ho stracciato / la nota della spesa! / Chi più di me distratto? / Vanni m’avrebbe fatto, / come nelle usanze sue / un altro in 32») e Camillo Sbarbaro a Silvio Volta (1993).

Vede inoltre la luce, nella medesima collana di San Marco dei Giustiniani, Pianissimo (1945) (pp. 64, s.i.p.) che raccoglie, a cura di Paolo Zoboli, la trascrizione di una versione dattiloscritta della silloge che si pone tra la mitica princeps del 1914, originariamente apparsa presso la Libreria della Voce, e la successiva rielaborazione del ’54, edita da Neri Pozza (ma esistono anche le varianti confluite nell’estratto apparso sulla rivista «Poesia», diretta da Enrico Falqui, nel ’46, oltre alla versione del ’60 e alla stesura definitiva del ’67, rispettivamente accolte nelle Poesie scheiwilleriane del 1961 e del 1971). Il manufatto, dedicato in calce al regista teatrale Giannino Galloni, autore dell’introduzione alla versione sbarbariana del Ciclope di Euripide edita nel 1945, si configura come il tentativo di depauperare ulteriormente il numero di componimenti ospitati: si passa dai ventinove dell’edizione vociana a tredici, sempre suddivisi in due sezioni numerate. Non resta che segnalare La poesia è un respiroLettere a Giovanni Descalzo (Ares, pp. 112, € 14,00), curato da Francesco De Nicola, che testimonia il rinnovato interesse nei confronti di uno dei poeti più autentici e umanamente composti del nostro Novecento.

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