Cultura

Savina Dolores Massa e la traversata della scrittura

Savina Dolores Massa e la traversata della scritturaSavina Dolores Massa, foto di Giusy Calia

SCAFFALE A proposito di «Lampadari a gocce», l'ultimo romanzo della scrittrice oristanese

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 5 settembre 2020

Una nave chiamata Casta Diva, impossibilitata a ripartire e ormeggiata nei pressi di Gibilterra, è la dimora di venti marinai. Lo scenario che dà avvio al nuovo romanzo di Savina Dolores Massa, Lampadari a gocce (Il Maestrale, pp. 340, euro 18) si sgrana di piani temporali ed elementi che prendono forma per poi infrangersi nei loro contrari. I loro destini sono altrettante riappropriazioni mnemoniche, case degli uomini e delle donne, fisionomie segrete incrociate. È casa la cabina in cui vanno a rifugiarsi Notturno, Ruben, Andreas e gli altri dell’equipaggio di Casta Diva. È ugualmente casa la «stanza-mondo» che Izta disfa ogni martedì in attesa di visitatori curiosi. Sono case i porti e le città che conosciamo grazie alle peregrinazioni della mente di chi, costretto a stare fermo, rende fertili le evenienze esistentive.

L’ACQUA DEL MARE profondo è invece la compagna di cui si fa veggente Notturno – che disegna acquerelli neri in cui la ragione si interrompe – e ancora l’acqua di una scodella è la penombra scintillante in cui si bagna le dita Izta – minuta figura messicana «di zucchero filato» e «vulcani spenti». Nella differenza di grandezze che deformano il circostante, il mare è traversata dolorosa di buio pesto, un inconscio collettivo che rallenta e scopre scivoloso il passo dei viventi, ritmo su cui si misurano e si arrovellano i suoi ospiti malfermi. Da Napoli all’Irlanda, da Veracruz ad Amsterdam e la Norvegia, è notevole come ogni volta Savina Dolores Massa riesca a descrivere atmosfere così cariche di sapienza, capaci di tagliare lo spazio e la storia per poi ribaltarli di segno. Sono le parole di Izta e di chi popola Lampadari a gocce, in dialogo con quelle delle Mambo, signore dei morti convocate dalla scrittrice oristanese, a ricordarci che «chiamiamo suggestione quanto ci è incomprensibile, inganno ciò che non vogliamo sentire. La mente è così furba, a volte: sbriglia emozioni, ci offre appartamenti dai quali ci intriga a non uscire. Però è perfino una specie di amante, pronta ad abbandonarci all’improvviso lasciandoci aridi».

È QUI CHE VIENE a rappresentarsi una delle lezioni più significative che Massa ci ha già introdotto in altri suoi lavori, ovvero la discrasia ottundente tra visibile e invisibile che, nelle sue mani, diventa duttilità generativa tra pensare e sentire, nel solco che da Cristina Campo fa sponda con Maria Zambrano. Lo dice bene Izta che, al pari di molte delle protagoniste dei romanzi di Massa – da Maddalenina di Mia figlia follia (2010) a Elsa di A un garofano fuggito fu dato il mio nome (2019) – ci interroga su quanto ignavi e stolti siano gli umani che non conoscono la forza di raccogliere e rilasciare il tempo. Perché in fondo è questo ciò che dà la stoffa nascosta della sua scrittura, conduce la parola al limite di un realismo magico ammonendoci si tratti dell’altra parte di un’esperienza diretta del mondo, fatto di spettri con cui fare amicizia, presagi poco indulgenti e ossessioni che ne slaccino la dittatura terrestre per aprirsi a una vista di presenze anarchiche sottilissime.

NEL CORPO sontuosamente imperfetto di Izta gravitano, per altri continenti, quello della Blimunda di José Saramago, della figlia dell’insonnia di Alejandra Pizarnik, delle donne dagli occhi grandi «come un desiderio» di Ángeles Mastretta e infine di Aracoeli di Elsa Morante. Anche Savina Dolores Massa ci consegna una grande e definitiva storia d’amore, in cui il viaggio iniziatico delle sue protagoniste e protagonisti ha il peso solitario di una radice acquatica e l’intensità di una voragine di viscere calde, di nomi raddoppiati che sono montagne o divinità dal passato misterioso fino a ogni sillaba espunta al creato, inerme e originaria come una lallazione di bambino. Non si arriva da nessuna parte, come nel gioco di Rayuela di Julio Cortázar, anzi scomponendo l’ordine della lettura si possono riconoscere altri rintocchi del mondo. Accade alla letteratura quando diventa labirinto inquieto di anime notturne, perdute e ritrovate dopo milioni di anni.

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SCHEDA. In Sardegna un festival dedicato a scrittrici e poete

Si è aperta ieri a Orani la seconda edizione di del Festival di critica, poesia, scienza e multicultura «Quando tutte le donne del mondo», ideato e diretto da Bastiana Madau che anche in questo difficile anno non si è arresa e si affida, per il nome della iniziativa, a un fulgido libro di Simone de Beauvoir. Dopo la chef Pina Siotto, oggi è la volta di Chiara Ingrao che in dialogo con Manuela Arca presenterà «Migrante per sempre». Il 18, al Parco del Museo Nivola, appuntamento con le poesie di Donatella Cheri, accompagnata dalle letture di Valentina Loche. Il 19 e il 20 sarà Su Postu (piazza Mazzini) a ospitare rispettivamente Adania Shibli e Monica Ruocco e infine la scrittrice oristanese Savina Dolores Massa che presenterà il suo ultimo romanzo «Lampadari a gocce» edito dal Maestrale di Nuoro che ne parlerà con Annamaria Capraro.

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