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«Saturday Night», la nuova era (da ridere) della tv

«Saturday Night», la nuova era (da ridere) della tvUna scena da «Saturday Night»

Jason Reitman Intervista al regista, il suo film sulla storica trasmissione comedy americana sarà alla Festa del Cinema di Roma e poi il 21, 22 e 23 ottobre nelle sale. L’umorismo rivoluzionario degli anni ’70, una generazione inedita di attori e comici, il backstage ricostruito

Pubblicato circa 8 ore faEdizione del 15 ottobre 2024
Luca CeladaLOS ANGELES

Se c’è un programma capostipite della moderna comedy televisiva americana, questo è sicuramente Saturday Night Live. In onda sulla Nbc, rigorosamente dal vivo da 50 anni, Snl propone ogni sabato alle 23:30 un varietà di standup, sketch, filmati ed ospiti musicali che ha fatto la storia, sia della commedia che della Tv. (L’omologo italiano più simile per peso culturale e portata innovativa, sarebbe probabilmente la coeva Altra Domenica di Renzo Arbore). Il debutto l’11 ottobre del 1974 rimane nella storia anche grazie alla prima compagnia di comici che comprendeva fra gli altri Chevy Chase, John Belushi, Jane Curtain, Gilda Ratner e Dan Aykroyd. Sarebbe stata la prima incarnazione di una serie di ensemble che in seguito avrebbero lanciato le carriere di Eddie Murphy, Chris Rock, Chris Farley Adam Sandler, Will Farrell, Tina Fey e più recentemente, Kristen Wiig, Kate McKinnon, Andy Sandberg e Pete Davidson.

Jason Reitman, foto Ansa

Saturday Night, il film di Jason Reitman (Thank you for smoking; Juno) in programma venerdì alla Festa del cinema di Roma e poi nelle sale il 21, 22 e 23 ottobre, ripercorre in «tempo reale» i 90 minuti che precedono lo storico esordio. Un film che rende, con una sorta di piano sequenza simulato, la frenesia del backstage in cui il creatore e produttore dello show, Lorne Michaels, un trentenne Canadese con all’attivo una manciata di sitcoms, deve in qualche modo riuscire a convincere la rete a non cancellare l’esperimento prima che parta, dribblare i censori, tenere insieme la caotica produzione ed il cast, che quella prima sera, oltre ai comici fissi, comprendeva Billy Crystal, Andy Kaufman, Jim Hansen e George Carlin.

Un omaggio che è anche uno spaccato generazionale del momento in cui la controcultura ha fatto breccia nella paludata istituzione applicando alla Tv americana le lezioni anarchiche che Monty Python aveva già impartito alla Bbc. Reitman è, come Lorne Michael, un canadese trapiantato a Los Angeles e inoltre è figlio di Ivan Reitman, che con molti dei comici originali di Snl ha lavorato, ad esempio nei film fatti con Bill Murray e con Dan Aykroyd (Ghostbusters, per citarne solo uno). Attori che, come dice il regista, si ricordano tuttora di Jason Reitman come il moccioso che veniva a vistare i set del padre facendo troppo baccano.
Anni dopo Reitman è stato lui steso autore ospite della «writers room» di Snl per una settimana. Lo abbiamo incontrato a Los Angeles.

Ci parli della «connection» di suo padre con quell’ambiente, se non sbaglio risale ai tempi di «National Lampoon», di che si trattava?

Era una rivista nata da Harvard Lampoon, periodico umoristico dell’Università di Harvard. Ci hanno lavorato un sacco di comici geniali che hanno poi continuato a fare grandi cose. Molti degli autori di Saturday Night Live provenivano da li, come anche John Hughes. Mio padre è stato regista degli spettacoli dal vivo nati dal giornale nei primi anni ’70, che avevano come protagonisti personaggi come John Belushi, Bill Murray, Harold Ramis, Gilda Radner, tutte persone che sarebbero poi apparse su Snl.

Cosa aveva di inedito il programma?

Ciò che continua ad affascinarmi è che Saturday Night Live è uno spettacolo che fa 90 minuti di televisione in diretta con contenuti che riflettono tutto ciò che accade nella cultura e nella politica – uno spettacolo che è in parte stand up, in parte sketch, in parte musica, in parte parodia.

Il varietà in diretta in fondo fu il formato della televisione delle origini, poi era andato scomparendo?

Sì, voglio dire, penso che ci fossero ancora dei varietà dal vivo ai tempi di Saturday Night Live. Ma c’erano alcune cose che lo hanno reso unico. Soprattutto il tipo di umorismo rivoluzionario e assurdo che nel 1975, esisteva davvero solo alla Second City di Toronto e a Chicago o in qualche locale nel Village. E all’improvviso apparse sulla Nbc, un’emittente nazionale. E poi c’era la complessità di ciò che stavano cercando di realizzare, l’obbiettivo di Lorne Michaels era produrre qualcosa di inedito, di semplicemente inaudito a livello tecnico.

Una rivoluzione simile a quella che in quegli anni gli autori della New Hollywood stavano facendo con gli studios?

Credo che sia esattamente la stessa cosa. Penso a Mike Nichols, Hal Ashby e Rafelson e al gruppo di registi che tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 rivoluzionarono il cinema e riflettevano il cambiamento culturale in atto, la reazione ai film degli anni ’50. Snl era una reazione a tutta la televisione, da parte di una generazione che ora trovava la comicità in posti nuovi, che fossero le pagine National Lampoon o gli sketch sul palco di Second City. C’erano posti in cui i giovani Americani creavano un nuovo tipo di commedia, ma non era ancora approdata in televisione.

Per fare il film siete meticolosamente documentati, avete intervistato molti protagonisti dell’epoca…tenevate all’autenticità?

Si. Ma allo stesso tempo non è un documentario. È un film narrativo. E penso che lo scopo non sia mai quello di creare una pagina Wikipedia. Lo scopo è dare al pubblico l’opportunità di provare com’era essere lì. E sentire il conto alla rovescia…Amadeus non è un documento sulla vita di Mozart, è un film sulla gelosia. E Saturday Night è un film su una generazione che strappa la televisione dalle mani di un’altra. Racconta di come nasce una commedia geniale, creata in tempo reale. Ed è un viaggio da brividi di 90 minuti, che porta alla prima volta che qualcuno lo dice: «Live from New York, it’s Saturday Night!» (la sigla che apre tuttora ogni programma, ndr.)

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