Stefano di Giovanni detto il Sassetta, “Adorazione dei Magi”, part., Siena, Palazzo Chigi Saracini

«Ero venuto per sapere se lei ha un fascicolo del Burlington Magazine, dov’è uno studio sul Sassetta del Berenson. Mi scusi se io cerco quel che interessa me. – Ora, guarderemo se lo troviamo! – Non ho nessuna fretta».
Come Costanzo Nisard – «giovane francese, critico d’arte (…) i baffi parevano un peso sul sorriso» – nelle Tre croci di Federigo Tozzi (1920), anche Alessandro Bagnoli non ha avuto fretta. Per oltre tre decenni ha atteso l’occasione giusta, la cornice adatta, i collaboratori più appassionati (quasi tutti con meno di trent’anni e suoi allievi, del resto), per presentare una nuova opera di Stefano di Giovanni detto il Sassetta: è la bluette Madonna col Bambino un tempo nella chiesa di San Giovanni Battista a Molli, vicino Sovicille (SI), dallo sguardo tra lo schizzinoso e il pigro, che campeggia sulla réclame e sul catalogo della rassegna Sassetta e il suo tempo Uno sguardo sull’arte senese del primo Quattrocento, fino al 14 luglio nel Museo di San Pietro all’Orto di Massa Marittima.
Prima del restauro del 1989-’90, la Madonna appariva del tutto camuffata da una ridipintura secentesca, ma la taddema con inscritto un versetto d’invocazione mariano, il fondo a lamina d’oro, nonché il polso ritorto, avevano lampeggiato la promessa, già al primo incontro, di un’origine assai più antica. La scoperta quasi furtiva e imprevista di un così bel tassello per l’attività matura dell’artista, nel quale sgrigiola ancora il suo tocco candente, esigeva dunque più di una prosaica segnalazione.
Ma perché si è scelta Massa Marittima? Perché qui si custodisce una ‘reliquia’ dell’artista, una tavoletta cuspidata con un ardente Angelo Annunciante, compagno di una Annunciata oggi alla Yale Art Gallery di New Haven, entrambe scaglie di un polittico non ancora ben individuato tra quelli ricordati dalle fonti. Attorno a essa e alla Madonna inedita si è quindi orchestrata la mostra, che, come da titolo, vuole offrire al visitatore un affaccio sull’arte del capofila della pittura senese e di chi ne abbracciò la delicata poesia.
Visti gli spazi contenuti e la loro articolazione, si è voluto guidare le scelte espositive e i prestiti secondo i principi di sostenibilità e di etica professionale, preferendo cioè opere custodite a Siena e provincia, in buono stato di conservazione, la cui movimentazione non avrebbe gravato troppo sulla loro salute né sul budget dell’iniziativa.
Al primo piano del museo massetano, allestita in una bigia sobrietà, si contempla pertanto una selezione di tavole sassettesche: tra gli highlights e le cose più note, i frammenti della Pinacoteca Nazionale di Siena del Polittico dell’Arte della Lana, i drammatici e masacceschi terminali del Crocifisso per San Martino, l’esotica sfilata dell’Adorazione dei Magi Chigi Saracini, la Madonna del Palazzo del Comune di Siena, quella ‘delle ciliegie’ di Grosseto, nonché la macchina d’altare un tempo in San Domenico a Cortona (tra tutti, il prestito forse più impegnativo). L’accompagnano alcuni testi dei più fedeli seguaci e fiancheggiatori del maestro: l’erede – materiale, non spirituale – Sano di Pietro, l’isterico Giovanni di Paolo, l’allocchito Pietro di Giovanni Ambrosi, l’aspro Nicola di Ulisse, e, a congedo, qualche intaglio di Domenico di Niccolò «dei cori», il Sassetta del legno.
Tra le novità presentate al pubblico, oltre alla Madonna inedita, spicca il recupero dell’identità di Nastagio di Guasparre, fino a oggi solo un nome nei documenti e che corrisponderebbe alle opere riunite sotto la personalità del Maestro di Sant’Ansano, un interprete sagace e originale di Sassetta. Gli affilati arnesi della filologia hanno inoltre tentato di notomizzare l’annosa questione del cosiddetto Maestro dell’Osservanza. Dopo l’avvistamento di Roberto Longhi (1940) e la definizione da parte di Alberto Graziani (1942), giovane lancia longhiana presto spezzata, l’anonimo era ritenuto per intensità lirica e qualità secondo solo a Sassetta. Poi, la scoperta di un pagamento (2010) a Sano di Pietro di una delle sue pale più icastiche, la Natività della Vergine di Asciano, aveva deluso davvero tutti, prospettando la parabola di una freschissima e originale giovinezza via via guastatasi in una sterile industria. Ora, il fascino e l’individualità del Maestro dell’Osservanza sono energicamente riaffermati e il pittore descritto quale il più nobile salariato di un’eventuale «Impresa Sano di Pietro & C.».
Il catalogo, d’altra parte, riflette interamente l’allestimento e la condotta curatoriale. Nessun saggio: solo una breve introduzione metodologica, cui seguono densi vademecum per ogni artista rappresentato e schede scientifiche delle opere esposte, nelle quali si leggono nuove ricostruzioni (per esempio del polittico dell’Arte della Lana), così come tentativi di appianare questioni spinose o di presentarle almeno sotto una luce diversa. In buona sostanza, il catalogo è espressione della proverbiale «senesitudine» di chi si occupa di questi temi o di chi si è formato su di essi, ossia l’ammirevole capacità di continuare a ripensare e approfondire l’arte senese, la sua inesauribile ricchezza, la tradizione e il rigore dei suoi studi, cavandone sempre stimolanti riflessioni; di mantenerla viva, insomma.
Nell’istantanea che si è voluto così scattare, l’inquadratura ha però escluso qualcosa e qualcuno. Assente benché rievocato spesso, ad esempio, è Gentile da Fabriano, a Siena solo tra il 1423 e il 1425 ma decisivo per l’impasto tenero della pittura di Sassetta e per il teatro Kabuki di Giovanni di Paolo. Fuori campo è caduto pure il Sassetta nella sua declinazione più narrativa, espressa in grado sublime dalle predelle dei polittici e dalle storie francescane per Borgo San Sepolcro. Quell’incanto di atmosfere sospese, appena increspate da un battito d’ali, dallo stormire di un ramo, dal gesto trepido di una mano, fu forse la sua cifra più intima e indimenticabile.
Fu questa a essere raccolta dal Maestro dell’Osservanza, e ad accendere la fantasia ‘pseudo-buddhistica’ di Berenson, che vedeva nelle figure di Sassetta i bonzi e le geishe della fiabesca dinastia Tang. Il ricordarsene dopo la mostra, tra gli sdruccioli di Massa, fa quasi assumere allo stesso abitato le sembianze di uno di quegli alcázar irraggiungibili, prigionieri della brezza, che punteggiano i suoi paesaggi sinuosi (e chi è stato qui, sa di che parlo).
Manca, poi, la parte più sovversiva del ‘tempo’ di Sassetta, il suo controcanto: Jacopo della Quercia, precursore michelangiolesco. È vero, non c’è alcuna ricaduta nell’arte del pittore della sua focosa e pellegrina attività. Al massimo, Sassetta ne avrà constatato la presenza, fatto spallucce e seguitato a toccare in punta di pennello le sue Madonne, che pizzicano la vita anziché agguantarla. Era tuttavia l’altro grande artista, non meno ufficiale e immenso, della Siena di allora, vero trait-d’union con il resto della Penisola, a Firenze e Bologna.
In ogni caso, non si sa mai come prendere le coincidenze: la contemporanea presenza di due mostre monografiche su due pittori attivi negli stessi anni e così speculari per affinità elettive, Sassetta e Masolino (Empoli, fino al 7 luglio), fa pensare. E una qualche spiegazione deve pur esserci. I curatori delle rispettive esposizioni smentiscono qualunque concerto segreto. Che il fatto sia, dunque, l’effetto d’imperscrutabili congiunzioni astrali? O di un comune, sotterraneo ‘sentire’ degli storici dell’arte, di una loro inconsapevole urgenza di riscoprire e far conoscere le trame di questa pittura? Chissà…