Parigi 1943, la città, arresa a Hitler nel 1940, è sempre sotto l’assedio delle truppe tedesche. I focolai di resistenza sono organizzati dai maquis, diversi gruppi di partigiani che osteggiano l’occupante. Mancano i generi di prima necessità, la guerra va avanti da anni e non si vedono spiragli di pace. Parigi si è svuotata, è una città senza metrò, senza luce, senza carbone né elettricità ed è difficile perfino trovare le candele. In questo clima, l’editore Gallimard ha il coraggio di pubblicare L’être et le néant, un’opera di 724 pagine scritta da un nuovo filosofo di nome Jean-Paul Sartre.

DURANTE L’OCCUPAZIONE, Sartre partecipa della resistenza nel gruppo Socialismo e libertà, ma soprattutto scrive. Con Simone de Beauvoir si rifugiano vicini alla stufa del Café de Flore, al 172 di boulevard Saint-Germain. Tutte le mattine arrivano presto per avere un posto vicino alla fonte di calore e passano l’intera giornata a scarabocchiare fogli di carta e riunirsi con altri intellettuali. Si dice che il proprietario, Paul Boubal, capirà solo molti mesi dopo che quel bizzarro signore strabico, con il capotto di falsa pelliccia e la pipa sempre in bocca avrebbe portato il suo caffè al centro del movimento culturale di Parigi.
Ora, per commemorare gli 80 anni dell’opera, il Saggiatore propone una nuova edizione de L’essere e il nulla, questa volta con la prefazione di Massimo Recalcati (pp. 744, euro 28, traduzione di Giuseppe Del Bo). Proviamo a descrivere alcuni punti essenziali dell’esistenzialismo che lo rendono ancora oggi una prospettiva necessaria per capire il presente.
Durante la guerra Sartre scrive con passione e dichiara che ha un obiettivo, dice: «voglio dare una filosofia al dopoguerra». Un pensiero ambizioso, ma non ci sono dubbi che lui ha delle idee ed è convinto della loro validità. Scrive anche in prigionia, catturato dalle truppe tedesche, riesce a ricavare spazio e tempo per continuare le sue riflessioni (oggi presenti nei Taccuini della strana guerra). Dice: «mai un giorno senza una riga», una vita segnata da due momenti: leggere e scrivere.

NON VUOLE però essere un intellettuale che osserva le vicende umane dalla sua finestra, propone un pensiero radicato nel mondo che fa dell’impegno una ragione di esistenza. Perché se non si può fuggire alla propria epoca è meglio viverla intensamente. Lo dice anche nella prefazione del primo numero della sua rivista Les Temps Modernes: «non vogliamo perdere nulla del nostro tempo; ce ne sono stati forse dei migliori, ma questo è il nostro e questa è la vita che abbiamo da vivere». Dunque, vivere in fondo il proprio tempo, ma come? Sartre non dà indicazioni, finita una guerra mondiale con milioni di morti, dopo il crollo di ogni certezza dichiara che non c’è una morale da predicare.

NON CI SONO RICETTE, vivere è una sfida, l’essere umano non ha una essenza da realizzare né un dover essere da seguire, non è fatto, ma sempre da fare, si dovrà inventare. Ha un vuoto davanti a sé, un orizzonte aperto a infinite possibilità. Dopo la liberazione di Parigi questa prospettiva si diffonde attraverso L’essere e il nulla e il martellante succedersi di altri importanti scritti e iniziative culturali. Tra il 1944 e il ’45 Sartre pubblica varie pièce di teatro che vanno anche in scena, come: A porte chiuse e Le mosche. Escono i due primi volumi del romanzo i Cammini della libertà, oltre a numerosi scritti di politica, critica filosofica e letteraria. Scrive su Combat, la rivista diretta da Albert Camus e la sua firma è spesso presente sul giornale Le Figaro. Non solo, ad ottobre del ’45 dà vita a Les Temps modernes, nel comitato di redazione, insieme a Sartre e Beauvoir, troviamo intellettuali di primo livello come Raymond Aron, Michel Leiris, Maurice Merleau-Ponty, Albert Olivier, Jean Paulhan e Francis Jeanson, la copertina è disegnata da Pablo Picasso. La filosofia si fa moda, Juliette Gréco, la bohémienne di Saint Germain des Prets, voce femminile del dopoguerra francese, diventa la musa degli esistenzialisti. Poi arriverà Boris Vian con una tromba, saldando definitivamente l’intelligenza e l’impegno ai baccanali che hanno contraddistinto la primavera della Liberazione.
La riscossa esistenzialista esplode nel ’46 nella conferenza di Sartre (pubblicata poi come L’esistenzialismo è un umanismo), dove le principali nozioni de L’essere e il nulla sono tradotte in modo efficace in un linguaggio divulgativo. La sala è strapiena: studenti, letterati, politici, giornalisti sono lì, in attesa di quel piccolo soggetto strabico di cui tutti parlano, qualcuno sviene, interviene la polizia per mettere un po’ di ordine.

IN QUESTO CLIMA Sartre presenta l’esistenzialismo, confessa che il nome non gliel’ha dato lui, e passa a declinare una serie di idee che costituiscono il fondamento della sua filosofia. Al centro del suo pensiero c’è l’essere umano, l’esistente è quel singolo soggetto che troviamo dappertutto, che cerca di sopravvivere in un mondo di costrizioni, che si angoscia, ma anche un individuo che in condizioni di massima coercizione rimane libero.

PER L’ESISTENZIALISMO la libertà è costitutiva, è l’unica invariabile che contraddistingue la specie. Dirà che l’essere umano è «condannato ad essere libero», è una condanna perché non è facile decidere e vivere è un rischio. Ogni agire ha dietro di sé la rinuncia ad altre possibilità, il singolo fare è limitato mentre le opportunità inesauribili. Siamo condizionati dal mondo, dalla storia, dalla cultura, dal nostro passato, ma tutto ciò non ci determina.
Non solo, la ricerca di sé si produce all’interno di una giungla di oggetti umani inerti che dalla loro passività ci danno indicazioni. Per la nostra condizione però l’importante è la liberazione, cioè, cosa si fa con tutte quelle inerzie mute che carichiamo. Agire è rispondere alla sfida, un piccolo movimento che rende persona un essere totalmente condizionato. Abbandonati ma liberi, ecco l’antiumanismo, un umanismo senza modelli predisposti, un caleidoscopio di diversità.
L’essere e il nulla è un’opera complessa e accattivante, la filosofia scritta da chi diventerà premio Nobel in letteratura. L’opera apre la strada verso il superamento della filosofia «alla Heidegger», lontana dall’uomo che abita la società. L’essere umano concreto non è un’astrazione, di fronte a tanta libertà si angoscia, soffre, dipende dai limiti che gli offre un corpo avverso, eppure strumento indispensabile che gli consente di esserci. L’individuo non è mai individuale, è già fuori, nel mondo, dove si percepisce come altro da sé, si rispecchia, riflette, si giudica.

LA LIBERTÀ INDIVIDUALE è in realtà una libertà plurale, un bene prezioso e insieme un fardello di responsabilità, perché siamo responsabili di quello che facciamo ma anche, dei nostri silenzi, delle nostre mancanze, delle nostre omissioni. Per l’esistenzialismo la scelta di sé è scelta di mondo, dell’impegno per un mondo plurale. Ritornare a Sartre oggi significa non accettare il distratto sonnambulismo delle nostre società perché abbiamo una sola vita e soltanto un pianeta.