La narrativa italiana contemporanea vive una contraddizione che negli ultimi anni si è mostrata nella sua piena evidenza, una sorta di vicinanza, per certi versi anche un’aderenza, a temi universali, ma anche una presenza superficiale e non consapevole: più da spettatrice che da attrice. Imbrigliata in una visione stretta, segnata più che altro da un asfittico sguardo sociologico, la narrativa italiana fatica infatti a nominare e a rappresentare un oggetto ingombrante (e altrettanto diffuso) come quello della guerra. In particolare dopo la generazione degli anni Venti che la guerra l’ha vissuta attraversandola in ogni suo aspetto e contraddizione, da un fronte all’altro, è calato una sorta di imbarazzo che sembra aver reso impermeabile la sensibilità letteraria italiana a quelli che un tempo si sarebbero definiti i fatti del mondo. L’unico forse capace di raccontare letterariamente la guerra, senza tradimenti e patetismi, è stato Luca Rastello con il bellissimo, La guerra in casa (1998).

ORA ROSELLA POSTORINO, che ha sviluppato negli ultimi anni una sapiente sensibilità e un controllo della costruzione romanzesca non banale, dopo Le assaggiatrici del 2018 torna in libreria con il romanzo Mi limitavo ad amare te, sempre da Feltrinelli (pp. 350, euro 19). E conferma una qualità rara nel toccare e definire i corpi della guerra, nel caso de Le assaggiatrici erano i corpi del potere, qui invece sono i corpi feriti dell’infanzia in una guerra che chiuse drammaticamente il Novecento europeo e che ancor più drammaticamente pare essere ormai cosa rimossa dalle coscienze come dai ricordi pubblici, la guerra nell’ex Jugoslavia. Postorino sceglie una via obliqua che le permette di scrivere di guerra sapendola vedere e non sapendola fare; cogliendone la rabbia e il dolore, ma restando vigile narratrice con una missione non di rivalsa o di verità, ma di racconto. Qui il racconto va inteso come sguardo largo, capace di contenere e quindi comprendere dinamiche anche estranee, una sorta di attraversamento comune che affianca l’autrice ai suoi lettori connessi insieme dalla possibilità (come dai limiti) che lo sguardo può offrire. La scrittrice ha l’abilità di utilizzare i fatti per raccontare i sentimenti, rappresentare la guerra per raccontarne i traumi irrisolti e spesso irrisolvibili.

LA GUERRA DUNQUE come un virus che attraversa i corpi anche oltre i confini della battaglia, anche a chilometri di distanza dal conflitto. Un virus che trasforma le città e le case, in città e case in guerra, anche se l’apparenza direbbe il contrario. Storia di Omar, un bambino di dieci anni e di un’adozione che dalla Bosnia lo porta in Italia, Mi limitavo ad amare te ha i colori freddi di una distanza e di una verità irrecuperabili, un’aderenza alle cose che diviene subito ferita, un dolore che trasforma ogni sentimento in ferocia. Postorino è abile nel lasciare che gli elementi vengano a galla senza didascalici riferimenti (cosa mai scontata) e anzi riesce così a dare corpo a più storie sovrapposte, quella raccontata, quella vissuta dai protagonisti e quella che resta, come maceria come fine, ma anche come inevitabile inizio.

La guerra infatti muta il valore delle cose e dei sentimenti: là dove la speranza è vergata festa qui ha solo il tratto di una nostalgia inesauribile. Non mancano però i momenti di leggerezza, di gioia infantile, tratti di un discorso che per certi versi rendono ancora più amaro digerire la realtà della guerra e la sua voluta e inesorabile presenza. Un libro che vive nella nostra contemporaneità con la densità necessaria di un Novecento tremendamente presente.

* Domenica a Roma, nell’ambito di «Libri Come», Rosella Postorino discute del suo libro con Loredana Lipperini (ore 11, Sala Risonanze, Auditorium Parco della Musica)