Sarajevo Film Festival, il cielo sopra Srebrenica
Cinema Alla 30a edizione molti i documentari sul genocidio, con alterni risultati. «The Sky Above Zenica» di Zlatko Pranjic e Nanna Frank Møller racconta una delle città più inquinate d’Europa immergendosi nel territorio e tra la gente
Cinema Alla 30a edizione molti i documentari sul genocidio, con alterni risultati. «The Sky Above Zenica» di Zlatko Pranjic e Nanna Frank Møller racconta una delle città più inquinate d’Europa immergendosi nel territorio e tra la gente
Per il suo trentesimo compleanno il Sarajevo Film Festival – terminato ieri con la cerimonia di premiazione al Teatro Nazionale, giuria presieduta da Paul Schrader – si è rifatto buona parte dell’immagine spostando la propria collocazione dal centro storico cittadino a un’area più periferica, quella dei grattacieli e dei centri commerciali, tagliata da un’arteria stradale ad alto traffico. Niente più Hotel Europe, confinante con il labirintico quartiere turco, che era sede del popolo Industry e dei drink quotidiani meta di incontri e chiacchiere. Al suo posto, le stanze e i dintorni del moderno Swissôtel, costruito nel 2018, di fronte al quale si erge invece un simbolo della memoria sarajevese prima della guerra e durante essa: l’Hotel Holiday, ex Holiday Inn, risalente al 1984, quando la città ospitò i giochi olimpici, e poi base della stampa internazionale negli anni bellici del decennio successivo. Accanto, il multiplex con otto sale, principale cinema del festival che si espande però in tanti altri posti, compresi gli schermi all’aperto. E a pochi metri, volendo uscire dalla «bolla» festivaliera per una pausa, come non sostare al Caffè Tito con la sua memoria jugoslava? E, a proposito di memoria, sui ponti lungo il fiume ecco striscioni pro Palestina affiancati a quelli che ricordano il massacro di Srebrenica. Due genocidi.
STORIA. Memoria. Attualità. Pre-testi sviluppati da molti film presentati nelle varie sezioni. Srebrenica è ancora oggi dolorosa carne viva. Argomento che i documentari raccontano in modi differenti. Se in certi film il soggetto prevale su un’idea convincente di cinema, di un punto di vista che non sia solo osservazione ma interroghi con le immagini persone e luoghi scelti (da A Normal Life di Inès Khannoussi, dove quattro donne bosniache furono costrette a riparare a Vienna per le conseguenze della guerra e la foresta di Srebrenica è luogo di una performance con donne in rosso, ai ben più mediocri Sniper Alley – To My Brother di Cristiana Lucia Grilli e Francesco Toscani, sui diritti dei bambini, nello specifico tutti quelli morti nel conflitto balcanico, e Where Have You Been di Mirko Pincelli, girato in vari ambienti seguendo il ritorno a casa dell’artista bosniaco-americana Aida Šehovic creatrice di un monumento a Srebrenica), in altri emerge una consapevolezza filmica che li fa uscire da formule sbrigative.
The Sky Above Zenica è la potente composizione sensoriale di-segnata dal bosniaco Zlatko Pranjic e dalla danese Nanna Frank Møller e realizzata tra il 2017 e il 2024 a Zenica, città della Bosnia e tra le più inquinate d’Europa. Finita la guerra, sia Paesi sia multinazionali investirono nella ricostruzione, a volte con costi drammatici per la popolazione. Mittal acquisì l’acciaieria che con le sue esalazioni velenose intossicò cielo, aria, fiume, abitanti che si ammalarono in gran quantità di cancro e molti, troppi, morirono. Un ostinato gruppo di attivisti si unì nell’associazione Eko Forum per condurre tanto un’azione di monitoraggio quanto una causa contro i proprietari indiani e i politici locali conniventi per via del denaro ricevuto. Film visionario e politico, con fabbriche e fumi dagli echi lynchiani e un’indagine sul campo incalzante, attraversato da una tensione espressa anche dall’ottima colonna sonora «industriale», The Sky Above Zenica è un’opera che s’immerge in un territorio, lo percorre nell’incontrare tante persone che ci rendono parte delle loro storie e battaglie, e che cristallizza una realtà trasformata in immaginario esplosivo: il fiume divenuto fango rosso-marrone-verde, il cielo infuocato che assomiglia a un inferno, il cimitero musulmano accanto alla fabbrica, le strade anch’esse coperte da quella nebbia di gas.
Bosniaco, in co-produzione serba, è anche At the Door of the House Who Will Come Knocking, poema visivo dell’esordiente Maja Novakovic, inoltre sceneggiatrice, produttrice, direttrice della fotografia e co-montatrice di questo film girato al margine di un villaggio vicino a Srebrenica dove vive in solitudine un anziano insieme al suo amato cavallo. Siamo in un tempo che appare immobile, dove le stagioni dissolvono per tornare sempre al terreno innevato, ma lasciando uno spiraglio finale a un verde primaverile, mentre un bambino reale/immaginato si manifesta nel bosco e nella casa dell’uomo. Novakovic costruisce un testo rarefatto e denso, abitato da una musica rada e pertinente, da un notevole lavoro sul sonoro, da inquadrature che sono tele visuali stratificate.
UN’ALTRA autrice da tenere d’occhio è Maria Stoianova, ucraina, che in Fragments of Ice traccia un ritratto intimo e storico, tra Est e Ovest, di un momento cruciale: gli ultimi anni dell’Unione Sovietica, il periodo di transizione, gli albori post-sovietici. Dal 1986 al 1994. Stoianova ricorre solo ai film di famiglia e di viaggio che fece il padre, danzatore sul ghiaccio della compagnia di balletto ucraina. La voce narrante della regista, sempre fluida, spiega e ricorda, c’è anche lei neonata e bambina in quegli home movies che documentano un passaggio epocale.
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