Sarà un referendum anti casta
Benché abbia indossato i panni del rottamatore, salvo volere a tutti i costi un quasi ottuagenario come Augusto Barbera alla Corte costituzionale (studioso degnissimo, sia chiaro), Renzi del rottamatore ha […]
Benché abbia indossato i panni del rottamatore, salvo volere a tutti i costi un quasi ottuagenario come Augusto Barbera alla Corte costituzionale (studioso degnissimo, sia chiaro), Renzi del rottamatore ha […]
Benché abbia indossato i panni del rottamatore, salvo volere a tutti i costi un quasi ottuagenario come Augusto Barbera alla Corte costituzionale (studioso degnissimo, sia chiaro), Renzi del rottamatore ha ben poco. È un collaudato professionista politico, con quasi vent’anni di carriera alle spalle, sprovvisto di qualsiasi altra apprezzabile esperienza di vita e professionale. Ragiona da politico e agisce da politico. Non c’è nulla di male: i medici ragionano da medici, i giudici da giudici, e sono, a modo loro, mondi a parte. La rottamazione è stato solo l’espediente per liberarsi di una generazione di esponenti del suo partito che lo ingombrava.
Renzi è anche un tipico politico di professione post-moderno. Ben connesso coi circuiti del potere finanziario e mediatico. Anche a prescindere dalla non limpida vicenda della Banca Etruria, che va trattata con prudenza. È una vicenda indecente, ma prima di vedervi coinvolto lui e qualche suo prossimo sarebbe saggio affidarsi alle valutazioni dei magistrati. Ciò che è chiaro è che se da un canto i nemici di Renzi tentano di utilizzarla contro di lui, lui, per parte sua, da bravo professionista della politica, prova a volgerla contro altri poteri che gli tornano scomodi, come quello di Bankitalia.
Ma il problema di Renzi non sta solo nel suo pensare e agire da politico professionale. Sta nel radicalismo con cui vive il suo mondo a parte. I politici, con buona pace di Stella e Rizzo, formano dappertutto una casta. Renzi è parte della casta e vuol renderla sempre più casta, concedendo (ben che vada) al paese una tempesta di tweet. Sa lui cosa serve al paese, parlamento e partiti sono superflui, governare è affar suo.
I politici, sia chiaro, fanno i politici perché aspirano al potere. Spesso vi aspirano con nobilissimi intenti. Per perseguire i quali devono però conquistarlo e mantenerlo. Solo che molto spesso il mezzo – che è il potere – prevarica gli obiettivi. E per ottenere il potere si addiviene a compromessi. C’è compromesso e compromesso. Ci sono compromessi accettabili e indecenti. Buoni o cattivi che siano, tali compromessi sono difficili da comprendere per la gente comune e creano pertanto la casta. La politica è inevitabilmente opaca. Il politico ideale ne è consapevole e cerca di renderla più aperta.
Purtroppo ai politici che nutrono nobili obiettivi se ne accompagnano altri che perseguono fini privati, loro e dei loro sodali. Anche questo capita ovunque e da sempre. Ma negli ultimi decenni la quota di politici affaristi entro la casta si è allargata a dismisura. Figure come Bush e Sarkozy non hanno nulla da invidiare all’assessore più intrallazzone delle nostre sfortunate contrade. La specificità italiana è che tale tendenza degenerativa non è neanche ipocritamente dissimulata.
Come la democrazia si difende dalla politica che si fa casta? È una difesa difficile. Non bastano i politici consapevoli. Molto dipende dai valori che circolano nella vita collettiva. Se privilegio e affarismo prevalgono tra i politici è perché impregnano pure la società. E bonificarla è impresa ardua. Occorre mettere in circolo valori alternativi. Ma chi può farlo? Il rimedio più efficace all’autoreferenzialita della casta sta nella possibilità che compaiano nell’arena politica concorrenti che la sfidino, mettendo in circolo idee nuove, nuovi progetti di società, e alimentando la moralità che scarseggia. Perché questo accada la democrazia deve essere pluralistica e competitiva.
Non fosse che prima e somma aspirazione d’ogni casta è chiudere le porte ai nuovi entranti: in questo caso rendere l’area politica meno competitiva. Che è esattamente quello che Renzi rischia d’ottenere con le sue riforme elettorali e costituzionali: blindare una casta già alquanto blindata. Specie dopo le riforme degli anni 90, in Italia la competitività della politica si è ridotta, non senza vistosi effetti sulla moralità dei suoi addetti. La casta è sempre più immorale. Il che ha scatenato una rincorsa a denunciare la sua immoralità, a tutto vantaggio dell’astensione e di Beppe Grillo (in Francia di Mme Le Pen, in Inghilterra dell’Ukip, ecc.). La terapia renziana è nient’altro che un’ulteriore blindatura di una casta già protetta.
Il diavolo purtroppo fa pentole e non coperchi. In una democrazia blindatissima come quella d’oltralpe non è escluso che Mme Le Pen vinca le presidenziali. Disgustati, frastornati dalle denunce d’immoralità, metà degli elettori non vanno a votare e basta poco a fare la differenza. Ecco perché una volta tanto occorre mobilitarsi in nome della concorrenza. Le riforme di Renzi promettono stabilità ed efficienza. L’intento è apprezzabile e lui sarà pure in buona fede. Ma ci restituiranno una casta assai più irraggiungibile, più privilegiata e più immorale. E un paese sempre più inquieto e depresso, più vulnerabile ai veleni antidemocratici che vi circolano in abbondanza. Scongiuriamo l’aggravarsi dell’effetto casta. Questo è quanto va detto in vista del referendum. Questo è un referendum anti casta.
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