Sapore di miele sulla terza rete
Ri-Mediamo «Il corpo dell’amore», una serie in quattro puntate dedicata al tema del rapporto tra chi soffre di disabilità motoria o cognitiva e la sessualità
Ri-Mediamo «Il corpo dell’amore», una serie in quattro puntate dedicata al tema del rapporto tra chi soffre di disabilità motoria o cognitiva e la sessualità
Lo scorso venerdì 31 maggio la terza rete della Rai ha offerto una chiara dimostrazione di ciò che è (dovrebbe essere) un servizio pubblico. Verso le 23 e 10, in quella seconda serata tanto «arata» da Angelo Guglielmi, che rimane a distanza di anni il più fecondo (insieme a Massimo Fichera) creatore di programmi e palinsesti, è andata in onda la prima puntata de
«Patrizia, il corpo della madre» è stata la prima di quattro puntate di una serie dedicata al tema del rapporto tra chi soffre di disabilità motoria o cognitiva e la sessualità. Il racconto, asciutto ma assai curato dai produttori-registi Monica Repetto e Pietro Balla, ci ha fatto vivere il caso del figlio Giorgio, musicista affetto dalla sindrome di Williams (malattia genetica rara e terribile).
Una madre coraggiosa dai sentimenti sorvegliati alle prese con una difficile educazione sentimental-sessuale di un ragazzo splendido nel suonare organetto e percussioni nel gruppo «Scalzabanda» del quartiere Montesanto, ma desideroso di scoprire la pienezza dei propri sensi. E qui si dipana una narrazione dura e dolce, in cui si affronta senza ammiccamenti o facili buonismi un capitolo serissimo, da considerare cruciale per una società democratica, in cui l’eguaglianza delle opportunità avrebbe un primato indiscutibile.
Tuttavia, come sarà raccontato dalla quarta puntata («Anna, la prima volta», la protagonista tirocinante assistente sessuale), in Italia ancora non è legificato il diritto alla sessualità dei disabili. E chissà che la pregevole iniziativa non contribuisca a smuovere le acque in parlamento.
La seconda parte riguarderà l’inquietante avventura di Giuseppe Varchetta, impegnato nei movimenti Lgbt e rientrato in Italia dall’Ungheria dove era stato minacciato da gruppi neonazisti. Giuseppe vuole andare fino in fondo, denunciando il suo caso alla corte dei diritti umani di Strasburgo.
Il terzo episodio interpella Valentina Tomirotti, che ama definirsi «giornalista a rotelle». Affetta da displasia diastrofica, Valentina lavora in un’azienda del mantovano e ha appena pubblicato per Mondadori un libro, Un altro (d)anno, racconto su un anno «al contrario». Ma Valentina non si arrende mai. E fa notizia. Due sere fa, durante un comizio di Matteo Salvini a Porto Mantovano, con la carrozzella ha partecipato alla protesta di tanti mettendosi sopra il cartello «Hai rotto i barconi». Il cartello le è stato strappato, con connesso insulto della tifoseria leghista: «sei handicappata». Già, esprimere pacificamente senza neppure un fischio la propria opinione è diventato un atto eversivo in un’Italia che sembra essersi immersa in una indecente cattiveria.
Quattro puntate chiaramente legate da una trama unitaria tenuta insieme dalla voce narrante di Enrica Bonaccorti, e rappresentative di quel cinema civile che è spesso ormai uno dei pochi momenti di qualità nella nostrana produzione audiovisiva.
Complimenti, quindi alla squadra della «Deriva film» cui si deve l’ideazione della serie. E complimenti pure a Stefano Coletta e Giovanni Anversa, direttore e vice della rete della Rai che mantiene ancora accesa la fiaccola pubblica.
Ogni volta, però, che un programma ci fa respirare un po’, viene il magone per tutto il resto che rimbalza dal flusso ininterrotto dei palinsesti. E lì spesso non si capisce che differenza c’è tra pubblico e privato.
Insomma, ci si occuperà un buona volta della Rai: non dell’eterno risiko interno, bensì della missione strategica, che purtroppo oggi vive nelle eccezioni? Non nella regola. Eppure, quanto bisogno, quanta necessità.
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