Per trovare un autore di musica contemporanea nei programmi delle stagioni dell’Accademia di Santa Cecilia ci vuole una lente d’ingrandimento o semplicemente tanta buona volontà e un rischio per gli occhi. Si sa. Nomi solitari e sperduti nella ridda di autori, direttori, solisti, quasi sempre di alto livello. Non è certo una novità. Questa volta – dopo la presentazione della stagione 2023-2024, da ottobre a giugno, da parte del presidente Michele Dall’Ongaro (lui stesso, in realtà, un compositore di musica che viene catalogata «contemporanea») – si resta nella norma o tradizione che dir si voglia. Forse con qualche dato numerico diverso. Gli autori contemporanei sono un po’ di più. Vediamo. E vediamo che tipo di autori. Di «radicale» c’è Luca Francesconi l’11, 12, 13 aprile con direttore Maxime Pascal (naturalmente sul podio dell’Orchestra Sinfonica di Santa Cecilia, data in forte crescita qualitativa dopo gli anni trascorsi con Antonio Pappano e in attesa del nuovo direttore musicale Daniel Harding, che entrerà in servizio nella stagione ’24-’25). Di Francesconi verrà eseguito un Concerto per violino e orchestra intitolato Corpo elettrico, novità per l’Italia. Nelle stesse tre serate si potrà, però, ascoltare anche Musica per archi percussioni e celesta di Béla Bartók, opera da tempo classica ma che ci permettiamo, con un gesto prepotente, di considerare a tutti gli effetti «radicale». Altri «radicali»? György Ligeti con 6 Bagatelle per quintetto di fiati e György Kurtág col trio d’archi L’uomo è un fiore nel concerto da camera del 16 ottobre tenuto da solisti della Budapest Festival Orchestra. Finito. Ci sono poi sei contemporanei che non è difficile definire «moderati» e qui la scelta non può che essere fatta risalire a una politica culturale precisa. Un Norman Bates il 9, 10, 11 maggio, desolatamente eclettico tra post-minimalismo annacquato, richiami gershwiniani e altre robette d’intrattenimento; un Tan Dun il 23, 24, 25 novembre, notissimo per la sovrabbondanza di pacchianerie per film; un Fung Lam il 5 marzo, autore di colonne sonore di tono «spirituale»; un più che dignitoso Pavel Haas il 25, 26, 27 gennaio con le sue musiche neoclassiche con molto folk ceco ed ebraico; un Alexej Shor il 31 gennaio, paradossale compositore che semplicemente ritiene di continuare a scrivere come Beethoven; uno Jaako Kuusisto il 16 ottobre, neoromantico passatista. Ecco tutto. Chissà se l’Accademia ha pensato di aver fatto uno sforzo. La ricerca della contemporaneità forse include anche le opere che ai più suonano come conservatrici. Perché no? Non siamo forse nel periodo della legittimazione di ogni regressione?