L’hip hop ha da poco compiuto 50 anni in un compleanno che è stato anche occasione di profonda autocritica. Snoop Dog commenterà le olimpiadi per il canale tv statunitense Nbc. In Italia la scena legata all’hip hop ha sei album nei dieci più venduti del 2023 con relativi tour sold out. Sanremo anche quest’anno annuncia i rapper ospiti con una certa enfasi: Goelier, Il Tre, Rose Villain, Tedua, Ghali, Bresh… Da Achille Lauro a Frankie Hi-NRG a Blanco a Fedez, Rosa Chemical, Salmo e a Rancore, il rapporto fra Sanremo e l’hip hop è stato proficuo per entrambi. Qualcuno ha scambiato la scelta di Sanremo di aprire alla musica più ascoltata in Italia per uno slancio verso i giovani, ma è stata più che altro una inevitabile e realista accettazione del fatto che la musica è cambiata.
D’altro canto, nello sgomitare frenetico per la visibilità su social e media, l’ennesima nuova canzone d’amore della cantante struggente o la sempre bellissima voce del cantante innamorato non avrebbero alcuna possibilità di attirare l’attenzione e creare il clamore di cui vive Sanremo e con lui la discografia italiana. Sarebbero contenuti che non reggerebbero un minuto, narrativamente deboli rispetto al potere iconoclasta devastante dei figli dell’autotune, che si sono fatti grandi e forti mentre erano emarginati dalle radio e che ora sono pronti a urlare il contemporaneo urbano in faccia agli italiani divanati.

AUTOTUNE
Il rapporto fra il festival di Sanremo e la cultura dell’autotune è anche la manifestazione di dinamiche intergenerazionali e, più in generale, del processo di rinnovamento culturale che in Italia sembra non trovare altro sfogo partecipativo se non lo spettacolo televisivo. La televisione italiana, uscita illesa dalla mediamorfosi globale ormai compiuta, rimane il palco sul quale accade un po’ di tutto e dove tutto, in fondo, è permesso. Quale luogo migliore, se non la tv della chiacchiera nei talk show h24, quindi per inscenare le frizioni generazionali altrimenti anestetizzate? Sul palco di un piccolo teatro di provincia, in diretta sul primo canale della televisione pubblica, va in scena l’eterna lotta fra l’avanzamento e l’arretramento, fra una cultura urbana, metropolitana e una tardo rurale impegnata a salvare i borghi d’Italia. Il tutto esasperato da un dibattito pubblico nel quale si confronta una popolazione composta da due anziani per ogni giovane; in pratica una lotta due contro uno. In questa scenografia, il rap e ancora di più la trap, diventano la scusa per rilasciare tensioni attraverso strappi violenti e rilasci esplosivi resi possibili proprio dal luogo televisivo nel quale lo spettacolo può diventare il cattivo sogno della società italiana; pornografia di dinamismo sociale altrimenti scabroso.
Gli artisti rap e trap italiani nel palco di Sanremo vedono un punto di arrivo della traiettoria dalla periferia al centro. Non tanto un simbolo del successo fatto d’oro, diamanti e macchine veloci mutuato dalla cultura hip hop statunitense, quanto una legittimazione popolare proprio su Rai1, il canale più conservatore della televisione italiana a loro per lo più precluso. Giovani cresciuti con le scarpe di gomma, la cui musica è accusata di essere causa dei femminicidi, iperconsumisti in un paese di libretti postali, prendono voce a Sanremo, che è il centro della canzone l’unica settimana dell’anno nella quale la musica diventa più bella del calcio.
Sanremo dal canto suo, usa il rap come agitatore a salve di frustrazioni che diventano polemiche polarizzate che diventano share. Rappresenta uno spazio sicuro che nel suo velluto è in grado di contenere l’energia giovanile a cui è dato il ruolo di giullare, joker cantastorie in rima, che tutto può dire e fare perché in realtà non fa vera musica. In fondo i rapper e i trapper sono analfabeti musicali perché neanche cantano veramente, ma usano l’autotune e il festival della canzone italiana è il luogo del canto italiano di melodrammiana memoria, legato all’amore e alla sofferenza, mentre questi nuovi non-cantanti rappano di cash, bitch, snitch e gang.

OUTSIDER
È stato usato Achille Lauro entrato a Sanremo rapper dinamitardo e uscito un paio di edizioni dopo con difficoltà di posizionamento tali che solo ultimamente sembrano potersi risolvere. Con Lazza arrivato da outsider pur avendo il miglior album del 2022 alle spalle e un tour nei palazzetti già sold out prima di partecipare al festival. È toccato a Salmo messo su una nave, un palco distante in un altrove che è Sanremo, ma non è fisicamente quel palco; a Blanco biasimato in coro dagli italiani che rispettano i fiori e le leggi, il 47 percento dei quali non dichiara alcun reddito; a Fedez che ha fatto finta di fare roba con Rosa Chemical indignando l’Italia quinto paese al mondo per traffico su PornHub. Insomma, l’Italia post-cristiana, placida e intellettualmente conformista mette in scena la propria rettitudine scagliandosi contro i giovani che si permettono di essere giovani e che diventano quindi il nemico dell’ordine dato.
Il rap a Sanremo ha il ruolo del tipo che ai tempi di Baudo minacciava di gettarsi dalla balconata della galleria, ma aumentato da quel sapore di discolo dal quale non si sa mai cosa aspettarsi. Ruolo facile, visto il livello di addomesticamento degli altri artisti pop italiani, che abdicano a qualsiasi responsabilità generazionale, tenendosi alla larga dall’esprimere (e forse dall’avere) qualsiasi opinione politica per accomodarsi nelle sagome ritagliate per loro lungo i bordi della più idealizzata giovinezza. In un panorama pop nel quale le mega produzioni televisive stampano artisti che corrono a rassicurare tutti di essere persone normali, equilibrate e umili, i rapper e i trapper e tutti quegli artisti bagnati di cultura autotune, con i loro nomi strani, Sfera Ebbasta, Madame, Rondo da Sosa, Capo Plaza sono l’elemento disturbante capace di mimare la messa in crisi dell’equilibrio mainstream.

SUL DIVANO
Così Sanremo manda in onda la metabolizzazione dello strano e dell’inquietante. Realizza l’attrazione per ciò che sta al di là di quello che è confortevole sentire. Attrazione vissuta e risolta in sicurezza, sui divani di casa in un’esperienza comune. Come guardare una macchina accartocciata in autostrada nella sicurezza della propria auto che passa e intonsa procede avanti.
I giovani dropout della musica hanno la funzione di quell’incidente. Inaspettato, scioccante, splatter, ma calamitante. Sul palco di Sanremo possono essere imprevedibili perché non hanno subito il processo di doma da parte del sistema dello spettacolo. Giovani rapper che regalano micro-shock a Sanremo, altrimenti fermo sui testi amorosi dei e delle cantanti così banali da usare il proprio nome di battesimo come nome d’arte, non come cifra cantautorale, ma proprio per rimarcare il loro essere persone comuni, che non hanno alcuna intenzione di dire o fare nulla.
Il Festival di Sanremo è il luogo d’incontro per due sfere musicali e due energie divergenti: da un lato, una dimensione musicale contemporanea, urbana e proiettata verso l’avvenire e dall’altro una musicalità che nel bisogno di evasione giustifica la propria inconsistenza e cautela. Questa dualità riflette una società che utilizza la musica per mettere in scena un dibattito che ha come pretesto il rap e la trap, individuati come alieni, portatori di musica falsa contrapposta alla musica quella vera (qualsiasi cosa significhi), ma che in realtà nasconde frustrazioni più profonde di cui la musica è la controfigura.